Chiesa
Tre anni di pontificato, lo sguardo di Francesco sul mondo
Quali spunti ha dato il terzo anno di papa Francesco sul Soglio di Pietro? Quali momenti da ricordare? La Laudato Si', l'attenzione ai migranti, il dialogo ecumenico.
È difficile aggiungere qualcosa rispetto a quanto è stato già ampiamente scritto sul pontificato di papa Francesco. Giunti al compimento del terzo anno, il ministero petrino di Jorge Mario Bergoglio vive quotidianamente momenti importanti, ma sempre secondo il filo conduttore cui Francesco ci ha abituati sin dall’inizio: dialogo con tutti, accoglienza, cura dei più deboli, invito ad uscire. Ci sono però alcuni elementi ulteriori che forse possono essere estrapolati. Il primo è la nostra attuale incapacità di percepire la portata del Giubileo della Misericordia, vero e proprio colpo di scena per i credenti e non. Lo capiremo col tempo. Un anno di grazia che risponde alla grande esigenza dell’uomo di oggi di trovare dei punti fermi. Preferendo non declinare l’espressione “valori non negoziabili” per indicare clausole di principio ben tassative e determinate, Bergoglio intende riportare ogni uomo di buona volontà all’unico comun denominatore: la certezza della misericordia di Dio, che supera ogni debolezza e remora, ogni tristezza e angoscia. È probabilmente un tentativo di risolvere la questione antropologica attuale consegnando a ogni uomo la certezza di un trascendente in fondo in-manente. Nell’uomo. Di fronte alla crisi dei volti, mentre la stessa famiglia rischia di perdersi e già da tempo le figure come quella paterna sembrano in crisi, papa Francesco propone Gesù come volto della misericordia del Padre, ovvero come colui che, facendosi uomo tra gli uomini, ha condiviso le miserie dell’uomo di ogni tempo e di ogni dove. E siccome – secondo gli stessi sforzi di Francesco – Anno Santo significa imparare a “fasciare le piaghe dei cuori spezzati” – allora è troppo riduttivo cerchiare come frase da copertina quell’espressione: “la misericordia è l’architrave della vita della Chiesa”. Non è solo questo, che papa Francesco ha voluto spiegare indicendo il Giubileo. La vera chiave della bolla è l’invito a tutti a farsi latori della misericordia, a contagiare il mondo, non ad essere passivi. Il secondo aspetto da ricordare è la capacità di Francesco di parlare all’Europa da lontano. Scegliendo le “periferie”, egli che è “venuto dalla fine del mondo”, ha deciso di “trascurare” il Vecchio Continente, ormai stanco e forse soffocato da logiche diverse da quelle del Vangelo. In Africa, in America Latina, al Congresso Usa, ha affrontato tutti quei temi che oggi riguardano l’Occidente nostro: dall’economia con la richiesta di una migliore distribuzione delle risorse, alla questione ambientale declinando tutte quelle preoccupazioni che aveva espresso nella Laudato Si’, l’enciclica sociale che ha aperto una nuova strada nella riflessione della Chiesa. Al Congresso americano così si esprimeva Bergoglio: “il corretto uso delle risorse naturali, l’appropriata applicazione della tecnologia e la capacità di ben orientare lo spirito imprenditoriale, sono elementi essenziali di un’economia che cerca di essere moderna, inclusiva e sostenibile”. In quello che rimane uno degli interventi più importanti del suo pontificato, data la vastità dei temi trattati, Francesco diceva che “ora è il momento di azioni coraggiose e strategie dirette a implementare una «cultura della cura»”. Per questo chiedeva, e non solo in quella occasione, l’abolizione della pena di morte. Dello stesso tenore gli interventi in Kenya e Uganda, in territori ricchi di risorse naturali. Tutto questo, in realtà, può dirsi strettamente collegato nel percorso politico – sociale della Chiesa, fa subito venire alla mente tutte quelle reiterate e triennali esortazioni a combattere la cultura dello scarto. Tema chiama l’altro. Perché se l’Europa è in crisi, è anche perché non riesce ad avere una politica comune in materia di immigrazione. Le tristi immagini di bimbi costretti a passare sotto fili spinati, il fervente dibattito intorno alle quote di accoglienza che hanno visto in prima linea Francia, Germania, Danimarca, Svezia, con l’Italia e la Grecia soprattutto grandi ricettori di fuggiaschi, hanno generato solo confusione. Ancora aiutano le parole di Francesco al Congresso: “non dobbiamo lasciarci spaventare dal loro numero, ma piuttosto vederle come persone, guardando i loro volti e ascoltando le loro storie, tentando di rispondere meglio che possiamo alle loro situazioni. Rispondere in un modo che sia sempre umano, giusto e fraterno. Dobbiamo evitare una tentazione oggi comune: scartare chiunque si dimostri problematico”. E siccome un pastore universale, vicario di Cristo, è chiamato ad agire con l’esempio, allora rimangono impresse quelle immagini della Messa al confine tra Messico e Usa, zona di frontiera, davanti a migliaia di migranti. “Questa crisi, che si può misurare in cifre, noi vogliamo misurarla con nomi, storie, famiglie. Sono fratelli e sorelle che partono spinti dalla povertà e dalla violenza, dal narcotraffico e dal crimine organizzato”. Messaggi che riguardano in primo luogo proprio la Chiesa e la chiamano a uno scatto nella carità, virtù che Bergoglio in più di una circostanza ha messo al centro dello stesso Anno Santo. Anche gli “strattonamenti” al suo clero, al suo Popolo, sono tentativi di condurci fuori dalle situazioni di comodità per andare incontro all’uomo. Questo Francesco ha voluto dire ad esempio al Convegno ecclesiale di Firenze, quando ha ricordato di preferire “una Chiesa stanca e accidentata” piuttosto che una ripiegata su se stessa, autosufficiente. Uma Chiesa del dialogo, interno, anzitutto, come ha dimostrato la mole di contributi nei due Sinodi sulla famiglia, al termine dei quali si attende l’esortazione finale di Francesco. Ma una Chiesa del dialogo anche ad externum, una Chiesa dell’abbraccio. L’immagine finale è proprio quella dello storico incontro del Primate della Chiesa cattolica con Kirill, patriarca di Mosca e di tutte le Russie, che ha scalfito un muro di silenzio che durava da tempo immemorabile. Incontro significativamente avvenuto a Cuba, nella terra che fu di Fidel e forse lo è ancora oggi ma che, grazie anche al mediatore Frncesco, ha aperto uma nuova stagione della sua ricca storia. Storico incontro in aeroporto, laddove ogni giorno migliaia di persone transitano per andare da ogni dove. La Chiesa in cammino di papa Francesco.