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Un anno di rivoluzione per l’Opi
“Partiamo dai soliti problemi della sanità, partiamo dal fatto che quest’anno c’è il Congresso nazionale, partiamo dal fatto che abbiamo una nostra rappresentante dell’Ordine che farà parte della federazione nazionale. Partiamo anche dal fatto che abbiamo chiuso il 2024 con un bilancio positivo, sia economico che in termini di risultati. Partiamo da tutto quello che c’è da fare, dai rapporti con l’università, dai rapporti con le istituzioni e dalla crescita della professione infermieristica”. A dirlo è Fausto Sposato, presidente dell’Opi (Ordine delle professioni infermieristiche) di Cosenza. Lo abbiamo intervistato.
Da due anni è attivo il corso di laurea in Scienze infermieristiche. Che rapporto c’è tra l’Opi e l’Università della Calabria?
C’è un’ottima sinergia, stiamo lavorando anche per pianificare dei master di specializzazione per gli infermieri. Nel 2024 abbiamo inaugurato il centro di simulazione, l’unico in questo territorio, che servirà sia per far esercitare gli studenti di infermieristica che per i nostri colleghi; faremo anche dei corsi di specializzazione, ci stiamo preparando a un anno di rivoluzione per quanto riguarda la professione infermieristica su tutti i livelli.
Quali sono i primi risultati del centro di simulazione?
Siamo partiti l’anno scorso con un primo corso sulla gestione dei picc, c’è in programma anche un corso sull’emergenza urgenza, sia per quanto riguarda l’emergenza intraospedaliera che extra ospedaliera; poi c’è la richiesta di altri corsi di specializzazione su tante altre tematiche, compresa la violenza agli operatori sanitari, un argomento purtroppo sempre attuale.
Com’è la sanità di oggi, soprattutto quella calabrese?
Sostanzialmente non ha niente di diverso rispetto alla sanità nazionale. Ci sono regioni più avanti rispetto alla Calabria, ma noi siamo sempre comunque una regione commissariata. È una regione in cui il fattore umano è l’elemento principale- quando parlo di fattore umano mi riferisco alla gestione delle varie aziende, che hanno enormi criticità. L’età media del personale sanitario supera i 50 anni, poi perché attualmente si stenta ad avere un ricambio generazionale, io parlo per gli infermieri, ma ritengo che la cosa possa riferirsi anche alle altre professioni sanitarie; a questo bisogna anche aggiungere che la professione infermieristica ancora oggi in Calabria non ha trovato quel giusto riconoscimento che merita in un contesto sanitario così critico. Mentre i rapporti nazionali definiscono la professione infermieristica come la professione del futuro, in Calabria la visione della professione infermieristica è ancora un po’ legata a concetti arcaici che non servono più, perché se non lasciamo esprimere la professionalità e le competenze di chi conosce i bisogni delle persone vuol dire che non vogliamo bene alla sanità, ma vogliamo soprattutto bene alle persone, perché i loro bisogni e soprattutto l’assistenza la programmano gli infermieri.
Cosa fare per rendere la professione infermieristica più appetibile?
Abbiamo ottenuto ottimi risultati come Unical, visto che siamo stati tra le prime università ad avere un ottimo rapporto tra domanda e offerta. Ciò vuol dire che è stata fatta una buona operazione di scouting e siamo riusciti a rendere appetibile questa professione. È normale che il primo punto su cui poter ragionare è l’aspetto economico. Gli stipendi nel nostro Paese sono i più bassi d’Europa, dobbiamo incentivare i ragazzi a scegliere la professione infermieristica che è la professione del futuro. Altro punto è l’aspetto carrieristico: abbiamo ancora pochi dirigenti infermieristici nelle nostre aziende, mentre nelle regioni virtuose ci sono infermieri con posti di rilievo. Probabilmente l’errore che si continua a commettere in questa regione è proprio quello di classificare le professioni sanitarie come professioni di serie B, quando invece sono quelle che tengono in piedi il sistema.
Medici e infermieri si formano in Italia ma vanno a lavorare all’estero. Come fermare questa emorragia?
Intanto per un aspetto economico. C’è un divario economico importante per il costo della vita. Mentre fino a qualche anno fa firmavo molti nulla osta ai ragazzi che si formavano nelle nostre università e poi andavano a lavorare fuori, anche nelle regioni del nord, oggi molti cercano di rientrare perché c’è un costo della vita insostenibile soprattutto nelle regioni del nord, per cui è difficile andare avanti. L’aspetto economico, l’aspetto carrieristico e il riconoscimento sociale e professionale potrebbero spingere molti ragazzi a scegliere di fare gli infermieri.
Assistiamo alla diminuzione di personale, di quanti infermieri avrebbe bisogno la nostra regione?
Stando ai conteggi forniti dalla Regione e dalle aziende sanitarie, sono pochissimi, guardando i Lea e i Lep avremo bisogno di qualche migliaio di infermieri. Il problema qual è? Molti si trasferiscono anche nelle regioni limitrofe perché vengono banditi i concorsi che danno la possibilità di poter accedere al pubblico impiego e anche alla sanità privata. Fortunatamente è stato attivato il corso di laurea in Infermieristica qui a Cosenza per cui ci saranno centinaia di ragazzi che resteranno, ma bisogna dar loro l’opportunità di poter restare in questo territorio, occorre creare le opportunità per questi ragazzi che rappresentano il futuro della professione, quindi anche il futuro della sanità.
Le aggressioni al personale sanitario sono quasi all’ordine del giorno. Può fornirci qualche numero?
Sono numeri impressionanti. Se ne contano 8 al giorno, non in Calabria, ma in Italia sicuramente. Molte volte ci soffermiamo sugli episodi eclatanti, cioè le aggressioni fisiche. Mettiamo da parte le aggressioni verbali che sono tantissime. Bisogna mettere in sicurezza anche i Pronto soccorsi, perché il numero di aggressioni più elevato è nell’area dell’emergenza-urgenza. Occorre cambiare il paradigma culturale, iniziare dalle scuole a far capire che se qualcuno entra prima è perché ha un codice diverso dalla persona che attende da più tempo. Ho sempre sostenuto l’importanza di fare educazione sanitaria nelle scuole, penso che possa essere un primo passo per rivoluzionare culturalmente il concetto.
Per alleggerire il carico in ospedale e fornire un’assistenza adeguata è importante anche un servizio di infermieristica di vicinanza, qual è la situazione nel Cosentino?
Tutte le aziende devono essere dotate di un servizio delle professioni sanitarie, di un servizio infermieristico che lavora in staff alla direzione generale o alla direzione sanitaria. Nella provincia di Cosenza l’unica azienda è quella ospedaliera che è dotata di Sitra. L’Asp di Cosenza ancora no, però fa piacere che nella proposta di atto aziendale sono previsti 8 dirigenti delle professioni sanitarie, tra cui 3 dirigenti infermieristici. Bisogna solo fare i concorsi, avere il coraggio di fare i concorsi e cambiare radicalmente la gestione del personale.
Come sarà l’infermiere del futuro?
L’infermiere del futuro è un infermiere formato, informatico se mi fa passare il termine, perché con la telemedicina c’è la necessità di avere un dialogo e soprattutto conoscenza. L’intelligenza artificiale arriva fino a un certo punto, penso che niente e nessuno potrà mai sostituire quel rapporto che si crea tra l’infermiere e il paziente, quel processo di umanizzazione, di relazione d’aiuto che mai nessuna intelligenza artificiale potrà sostituire. Si guarda alla medicina del futuro: la teleassistenza.
Ha una bella storia legata alla sua professione che vuole condividere con noi?
Le storie sono veramente tante. Dico sempre una cosa agli studenti: se quando entriamo in un locale, le persone ti salutano, ti offrono il caffè, ritengo che quella sia la gratificazione più bella perché vuol dire che quelle persone hanno riconosciuto l’impegno profuso nell’assistenza. Spesso basta saper comunicare con le persone, ritengo che tutti hanno il diritto di avere una spiegazione, anche solo una parola. Dobbiamo abituarci ad avere contatti diretti con le persone. Ci sono tantissime belle storie quotidiane che molte volte hanno bisogno di essere raccontate; poi ci sono anche storie brutte, ma noi preferiamo raccontare le cose belle.
Di recente è stato rieletto presidente dell’OPI di Cosenza. Che obiettivi si dà?
Abbiamo obiettivi importanti. Intanto far conoscere ancora di più la professione, perché secondo me ci sono dei retaggi culturali. Non siamo coloro che eseguono gli ordini di altri, abbiamo autonomia professionale, responsabilità e competenze. Vogliamo lavorare in un contesto sereno, collaborativo, il lavoro d’equipe è quello che porta risultati. Il mio sogno è vedere qualcuno dei miei studenti, dei miei colleghi fare il direttore generale in un’azienda o il direttore sociosanitario in un’azienda, cosa che nelle altre regioni già accade. Ritengo che questo possa far comprendere l’importanza e la professionalità di questo lavoro.