Cultura
Un antico patto tra Reggio Calabria e Atene
Nel British Museum è conservata una Stele in lingua attica appartenente al patrimonio del Sud Italia
Abbiamo già trattato in altri articoli il possesso, da parte di vari istituti museali, di preziosi manufatti storici di origine calabrese, tra cui il Tesoro di Sant’Eufemia. (https://www.paroladivita.org/il-tesoro-di-santeufemia/)
Al ricco e sterminato patrimonio culturale calabrese, parzialmente e, potremmo dire, anche ingiustamente disseminato nel resto del mondo, è possibile aggiungere un ulteriore esemplare: una Stele in marmo eginetico su cui sono visibili due fratture, l’una a sinistra e l’altra in basso.
È stata rinvenuta nel 1816 sull’Acropoli di Atene ed è oggi conservata presso il British Museum di Londra, nella collezione dei Marmi intitolata a Lord Elgin, il nobile diplomatico inglese vissuto tra la seconda metà del settecento e la prima metà dell’ottocento, celebre per aver condotto le sculture di marmo dall’acropoli ateniese nel Regno Unito. Il testo sul manufatto è scritto in attico, una delle varietà dialettali dell’antica lingua ellenica, secondo il sistema di scrittura dell’età classica greca noto come “stoichedon”. Un sistema che consisteva nell’incidere le lettere di un’epigrafe esattamente una sotto l’altra, in modo che le linee della scrittura venissero ad avere un uguale numero di lettere, e tutta l’iscrizione assumesse un aspetto ordinato e simmetrico. Era uno stile in voga negli scritti ufficiali ateniesi del V e del IV secolo a.C. e lo si usava nei proclami statali. L’antica “Rhegion” (dal verbo greco “reghnümi” che significa “rompere o “spezzare”, in riferimento alla separazione geologica della Sicilia dalla Calabria) era legata ad Atene da ancestrali vincoli di sangue. Nacque nel 730 a.C. quando alcuni coloni, provenienti dalla città di Calcide nell’isola di Eubea, si insediarono in Calabria. Nei primi anni della sua fondazione, lo stato reggino si estendeva sulla costa tirrenica fino a Medma (subocolonia locrese) e a Metauros (fondata dai Calcidesi di Reggio vicino al torrente Petrace presso Gioia Tauro), e si espandeva anche sullo Jonio fino a toccare il fiume Cecino o Alece (l’attuale Galati). Più tardi, con l’occupazione di Messina, Reggio espanse il suo dominio anche sull’altra sponda dello Stretto, finendo per controllare tutto il traffico marittimo nel Canale, elevando così il suo status di città forte e ricca. Strinse allora un’alleanza con Atene mediante la stipula di un trattato, avente sia un valore difensivo che offensivo, e volto a favorire l’egemonia di entrambe le città sulla Magna Grecia e sullo Stretto messinese. La potenza greca, sotto la guida di Pericle, voleva fermare l’avanzata dorico-corinzia sia sul piano economico che su quello politico, mentre Reggio cercava la coalizione giusta per opporsi a Locri, a Siracusa e a Messina e per avere via libera sullo Stretto. Per la sua posizione strategica, Reggio era una delle capitali principali del Mediterraneo nonché un centro di intensi traffici commerciali. L’epigrafe conservata nel museo londinese reca testimonianza di questa “symmachia”, cioè di quest’accordo tra le due città di stampo militare, stipulato verso il 433/2 a.C. La traduzione in italiano del contenuto del brano è la seguente: “Dei. Gli ambasciatori di Reggio, che conclusero l’alleanza e (prestarono) giuramento: Cleandro figlio di Sen-, […] figlio di -tino, Sileno figlio di Foco, […] sotto l’arcontato di Apseude (433/2) e nella boule per cui Criziade faceva il grammateus [vv] sembrò giusto alla boule e al demos, rivestiva la pritania la tribù Acamantide, Caria era segretario, Timosseno era epistates, Callia propose: sia fatta alleanza fra Ateniesi e Reggini. E gli Ateniesi prestino giuramento così che ogni cosa sia degna di fede, senza inganno e senza raggiri, per sempre, verso i Reggini da parte degli Ateniesi, che giurano nella maniera seguente: saremo fedeli, giusti e saldi alleati dei Reggini, per sempre, e saremo loro di supporto qualora ve ne fosse bisogno…”. Il testo menziona i membri dell’ambasceria reggina, giunti ad Atene per il concordato, parla dei magistrati in carica in quel momento, della natura del documento e del giuramento degli ateniesi. Cita anche il nome di Apseude, l’arconte in carica tra il 433 e il 432 a.C. quando Pericle, Lacedemone, Diotimo e Protea erano i massimi strateghi, responsabili del potere esecutivo e militare nelle magistrature dell’antica Grecia. L’epigrafe contiene alcune informazioni sulla struttura statale ateniese e sulle persone coinvolte nella stipula del patto: la presenza della bulè (il consiglio di Stato), degli “epistates” (i cittadini che, per un giorno, restavano in carica amministrando la pritania, il collegio che presiedeva la bulè) dei “pritani” (i consiglieri), del segretario della bulè e del proponente del decreto (Callia). Il trattato presenta una duplice caratteristica sul piano della stesura: la rasura e la successiva reincisione dei prescritti. Con molta probabilità l’epigrafe corrisponde alla prima stesura dell’accordo tra le due città, in quanto abradere e reincidere un rescritto non corrispondeva ad un’operazione di rinnovo che, invece, prevedeva l’aggiunta di qualche nota o una stele a parte. Il reperto è testimone di un’epoca di relazioni culturali e diplomatiche importanti tra le due realtà del Mediterraneo antico, che tentarono anche di lottare contro Siracusa per aiutare i Leontini, anch’essi di origine calcidica, prima della sconfitta di Atene, della sottomissione di Reggio a Siracusa e della conseguente liberazione della città calabrese non prima del 351 a.C. Quest’epigrafe comprova la rete di rapporti che, sin dall’antichità, la nostra regione tesseva con il resto del mondo.