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Un progetto per superare le tendopoli di San Ferdinando: l’impegno della Caritas nella piana di Gioia Tauro
Troppo spesso i migranti di Gioia Tauro, San Ferdinando e Rosarno sono degli invisibili per chi vive lontano dalle campagne: "Per questo come Caritas abbiamo messo in campo un'idea per scuotere la coscienza dei più giovani riguardo alle tendopoli.
Le tendopoli e gli insediamenti spontanei di migranti nella piana di Gioia Tauro, tra i problemi di sempre e le prospettive future.
Il 3 agosto scorso la regione Calabria ha approvato un progetto per il superamento del sito di San Ferdinando da realizzarsi attraverso l’edificazione di un villaggio proprio a Gioia Tauro, ma nel frattempo tra le baracche si soffre. Si tratta – si legge nella delibera regionale e nell’intestazione del documento emanato da Germaneto – “di un villaggio sociale presso il complesso industriale, di proprietà della Regione, denominato Oleificio Eranova e ubicato nel Comune di Gioia Tauro, nell’omonima località Eranova”. In attesa che il progetto si faccia concretezza, la situazione continua a essere drammatica perché la tendopoli è in uno stato di abbandono. “Sta per arrivare l’inverno, quindi molte persone torneranno per fare i lavori stagionali, fra cui la raccolta degli agrumi”, dice al Sir il diacono Michele Vomera, direttore della Caritas di Oppido Mamertina – Palmi. La Chiesa locale da anni profonde il proprio impegno quotidiano nella tendopoli di San Ferdinando, compiendo un lavoro teso a garantire la dignità dei migranti a 360 gradi. Di “necessario rispetto della dignità delle persone” e di “superamento delle tendopoli” parla anche Celeste Logiacco, segretaria Cgil di Gioia, che però rileva come, rispetto agli anni precedenti, il numero di arrivi per la raccolta stagionale sia diminuito. “Di solito già ad ottobre avevamo numeri più alti, quest’anno registriamo un minore afflusso di persone”. Un dato confermato al Sir anche dalla Prefettura di Reggio Calabria, peraltro in stretto contatto con la Regione con il comune obiettivo di collaborare perché l’esperienza delle baracche presto possa essere solo il passato. Era il 2019 quando le ruspe si abbatterono sulla tendopoli di San Ferdinando, ma – come fenici risorte – le baracche sono tornate, e anzi gli insediamenti nella zona si sono ancor più diffusi. E con essi sono peggiorate anche le condizioni dei migranti, come abbiamo più volte raccontato. Di nuove forme di accoglienza si parla da tempo, ma finora nessuna azione è stata risolutiva. “Da quanto sappiamo, i progetti della Regione stanno andando avanti, anche se alcuni interventi sono a medio lungo termine, quindi ad oggi rimane il problema, afferma Logiacco. Le strutture sono fatiscenti, e c’è un problema legato sia alla sicurezza che alle condizioni igienico sanitarie totalmente assenti”. La “volontà condivisa” tra Prefettura e Regione è quella di portare finalmente a termine la realizzazione di un sito di accoglienza ben strutturato e con tutti i servizi. Le baracche, difatti, portano precarietà, anche deriva sociale e delinquenza, oltre a richiedere uno sforzo notevole delle forze dell’ordine.
Dalla Prefettura snocciolano i dati del monitoraggio sui siti occupati dai migranti e sui controlli che riguardano il territorio. Secondo i dati che ci forniscono, dal 2015 a fine settembre 2022 sono state elevate 29 milioni di euro di sanzioni per violazione della normativa sul lavoro e denunciate 159 persone, insieme a migliaia di perquisizioni personali. Solo quest’anno sono state controllate 137 aziende.
Eppure i problemi rimangono, anche perché spesso la questione è di coordinamento di norme e di competenze amministrative. Perché, se da un lato dal Palazzo del Governo reggino si dicono soddisfatti del lavoro fatto, dall’altra la palla della predisposizione di luoghi sicuri di accoglienza spetta anche ai comuni, i quali – dal canto loro – vivono grosse difficoltà, soprattutto economiche e di carenza di strutture. Per questo il villaggio in progetto a Gioia Tauro è solo l’ultima delle speranze. Abbiamo provato a contattare il governatore Roberto Occhiuto attraverso la sua segreteria, soprattutto per conoscere i tempi del progetto, ma non abbiamo ottenuto risposta.
San Ferdinando è solo la cartolina di un’accoglienza che sembra troppo difficile da realizzare. In Calabria l’arrivo di migranti è costante, soprattutto nei porti della Locride, dove Enti, Guardia Costiera e associazioni del territorio lavorano insieme, secondo una schema che da Reggio Calabria definiscono “ben collaudato”. Eppure le criticità rimangono tante, come evidenziano ancora una voluta Vomera e Logiacco, che vivono sul campo le difficoltà concrete dei migranti, nonché lo stato di degrado di alcuni siti. Fra le urgenze condivise da Caritas e Cgil, sentinelle del mattino fra le baracche, c’è quella del superamento dell’insediamento di contrada Testa dell’acqua, nel comune di Rosarno. La povertà si tocca con mano, e con essa tutte le peggiori conseguenze a rilevanza sociale.
“La Caritas continua a essere loro vicina”, afferma con orgoglio Vomera. Una buona notizia, in tal senso, è il progetto SIPLA: “Abbiamo aiutato dei lavoratori a uscire dalle tendopoli avviando con loro un percorso di integrazione. Abbiamo attivato due tirocini formativi e dato loro un alloggio. Le aziende, dal canto loro, li hanno presi anzitutto per il tirocinio, ma poi li hanno tenuti perché li hanno formati e si sono dimostrati validi lavoratori”. Basterebbero il lavoro e una casa, cioè quello che troppo spesso in questa Piana calabrese è stato solo una promessa da parte delle Istituzioni. “Non crediamo nell’assistenzialismo, perché servono soluzioni alternative concrete, e noi crediamo che le alternative ci son – prosegue Vomera -. Magari è difficile dar lavoro a 2500 persone che stanno tra le baracche ma come Chiesa dobbiamo dare qualche piccolo segno”. Perché troppo spesso i migranti di Gioia Tauro, San Ferdinando e Rosarno sono degli invisibili per chi vive lontano dalle campagne. “Per questo come Caritas abbiamo messo in campo un’idea per scuotere la coscienza dei più giovani riguardo alle tendopoli. Stiamo per realizzare un concorso fotografico chiedendo ai giovani di fotografare periferie esistenziali, stati di povertà, per capire se e come sono sensibili al nostro tema”. Perché la questione migranti non sia un’isola solo troppo infelice, ma sia presa in carico da tutta la comunità.