Territorio
Un roglianese amante della fotografia
Carlo Sottile ha lasciato la Calabria a 18 anni e si è trasferito con la sua famiglia in Piemonte
Amore per la famiglia e per la professione, passione per la propria terra e rapporti di amicizia veri e duraturi. Sono questi gli elementi essenziali di una vita vissuta in ossequio al lavoro dei propri sogni, svolto con determinazione, forza e competenza. Lasciare il Sud per il Nord Italia, mantenendo sempre un caro ricordo delle proprie radici, richiede il coraggio di sapersi reinventare e di sapersi adattare ad una nuova realtà. È quello che è successo al sig. Carlo Sottile, 93enne di Rogliano emigrato a Torino. Interagire con un uomo distinto e garbato, che ha reso la sua vita un autentico capolavoro, è qualcosa di meraviglioso, ancor di più se si scopre che è un lontano parente del direttore del nostro giornale e di chi scrive. Lo abbiamo intervistato per conoscerlo meglio.
Cos’ha provato tornando a Rogliano, il suo paese natio?
Sono tornato diverse volte negli anni passati e devo dire di essere rimasto sorpreso e affascinato. Il paese è completamente cambiato e ora è proprio una città. Ci sono tanti servizi e, camminando per strada, si incontrano persone molto educate e disponibili. Mi sento accolto come se avessi vissuto sempre qui. Il quartiere nel quale sono cresciuto è Patinelli dove avevo i miei amici. Ho perfino scoperto di avere delle parentele con altri roglianesi di cui non sapevo nulla.
Com’è cambiata, a suo avviso, questa località del Savuto rispetto al passato? Pensa che si siano smarrite le tradizioni?
Non è che si siano perse le tradizioni ma si sono modificate adattandosi ai tempi moderni. Ne ricordo tante, alcune di carattere personale, legate alle abitudini delle singole famiglie, altre connesse alla storia comune. Anche la gente è cambiata. I piccoli che lasciai anni fa ora sono adulti e hanno una mentalità non retrograda, come generalmente si crede pensando al Sud, ma aperta.
Fino a che età ha vissuto in Calabria? È andato via per motivi di studio o di lavoro?
Ho vissuto a Rogliano fino a 18 anni prima di trasferirmi a Torino. Mio padre aveva un incarico statale presso il distretto militare di Cosenza. In seguito rispose ad un bando pubblico facoltativo, che dava la possibilità di scegliere una tra le città italiane elencate nell’avviso e di andarci a lavorare. Optò per il capoluogo piemontese come destinazione e qui iniziò ad occuparsi della mensa per i militari. In particolare era responsabile di una sorta di “spaccio” riempito con il cibo destinato agli ufficiali, che doveva essere sempre monitorato affinché non restasse mai vuoto. Io non volevo lasciare il mio paese natale, nel quale mi trovavo bene con la mia famiglia, ma poi su insistenza di mio padre dovetti emigrare anch’io a Torino.
Qual è stata la sua professione?
Ho fatto il fotografo specializzato in campo artistico, edilizio e sportivo. Ho iniziato a muovere i primi passi in questo settore quando ancora vivevo a Rogliano. Grazie ad un amico di mio padre, di nome Ciccio Cozza, presi confidenza con la fotografia che mi affascinò dal primo momento e della quale mi innamorai follemente. In seguito mio padre mi trovò un impiego in uno studio fotografico a Cosenza, gestito da professionisti che erano veri e propri artisti e da cui appresi tanto. Partii per Torino rispettando la volontà di mio padre, che già si trovava lì con mio fratello. Cambiai vita, mi abituai ad una nuova routine e iniziai subito a cercare lavoro, nonostante le diffidenze che la gente del posto nutriva nei confronti di uno proveniente dal Meridione. Le prime difficoltà occupazionali dipesero dal fatto che la fotografia, in quegli anni, si attestava per lo più come lavoro stagionale da primavera ad autunno, con scarse opportunità nel periodo invernale. Proseguii ugualmente nella ricerca di un impiego, essendo una persona molto sveglia e con tanta voglia di imparare. Mi recai allora dai grossisti, che rifornivano i fotografi dei materiali necessari per il loro business. Uno di loro fece il mio nome ad un fotografo, per metà francese, che lavorava a San Germano Chisone fuori Torino. Collaborai con lui recandomi un giorno a settimana in questo paese di montagna per un anno, stetti alle sue dipendenze per un altro anno a Bicherasio e poi lo lasciai, visto che lui era diretto a Sanremo per ricongiungersi alla moglie. Sempre a Torino sono stato dipendente di vari soggetti, che non riconoscevano più la mia meridionalità sentendomi parlare benissimo il piemontese. Lavoravo dalla mattina alla sera stampando le foto nei vari studi fotografici presso i quali avevo trovato impiego, e dei quali possedevo perfino le chiavi. Continuai così per tre anni prima di aprire un laboratorio di fotografia e poi il mio studio personale, presso un appartamento in via Cibrario a Torino. Mi sono sposato e anche mia moglie ha imparato a fare la fotografa. Ho lavorato per una cinquantina di anni.
C’era differenza in quegli anni tra la fotografia del Sud e quella del Nord?
Si. La fotografia del Sud, con cui sono cresciuto e che ho imparato prima, era più artistica, fatta bene e molto bella. In Calabria e nelle Puglie esisteva la vera arte delle fotografie che, purtroppo, non era ben curata e non si poteva vendere. Ho fatto tesoro di quest’esperienza portandola al Nord e professionalizzandomi. Ho puntato inizialmente sulla foto artistica ma non era molto remunerativa, anche perché si rivolgeva ad un pubblico selezionato. Chi arrivava nel Settentrione doveva già possedere determinate competenze, ignorate spesso e volentieri nel Meridione, altrimenti non avrebbe fatto carriera. Bisognava conoscere bene la chimica della fotografia e sapere come mettere insieme i vari prodotti per ottenere, ad esempio, più contrasto in un’immagine. In Piemonte la fotografia era molto più professionale e scientifica. Sono passato allora alla tipologia commerciale che offriva più introiti. Ora non saprei come stanno le cose, visto che ho chiuso il mio studio 30 anni fa.
Ha collaborato con enti pubblici o privati? Che incarichi specifici ha avuto?
A Torino ho cominciato a lavorare con la prestigiosa impresa edile “Guerrini”, che mi ha fatto fare un salto di qualità facendomi diventare fotografo esperto in ambito edilizio e, quasi contemporaneamente, ho stretto un rapporto di collaborazione con un’altra impresa edile chiamata “Zoppoli Pulcher”. Chi mi ha aperto le porte di queste grandi ditte è stato l’ingegner Vasco Rossi (si chiamava come il grande cantante italiano), impiegato presso la Guerrini. I miei primi lavori riguardarono “Italia ‘61”, la grande manifestazione durata un anno e organizzata a Torino, per celebrare il primo centenario dell’Unità d’Italia. Come fotografo di fiducia della Guerrini e della Zoppoli Pulcher, immortalai e documentai con i miei scatti le fasi di costruzione di opere architettoniche importanti, tra cui una cittadina dedicata a Italia ’61, il famoso “Palazzo a vela” a tre punte, ora destinato a pratiche sportive, e il “Palazzo del Lavoro” in vetro, dove si tennero le esposizioni delle regioni italiane per onorare l’unità nazionale. Ho lavorato come fotografo esclusivo seguendo le operazione di restauro di “Palazzo Carignano”, che fu rifatto dalle fondamenta fino al tetto, ho avuto la fortuna di addentrarmi, grazie alla Guerrini, negli spettacolari interni di “Palazzo Madama” in Piazza Castello, anch’esso in ristrutturazione, e sono stato scelto per effettuare riprese fotografiche dell’opera di rifacimento del “Teatro Regio”, che era stato bruciato. Altri incarichi li ho ricevuti in occasione dei restauri della “Reggia di Venaria Reale”, della “Palazzina di Caccia di Stupinigi”, dell’ “Istituto Bancario San Paolo”, della “Banca di Novara” e del “Campo Teatrale” di Torino. Ho svolto infine qualche prestazione presso “Palazzo Reale” prima di chiudere la mia attività.
Qual è il segreto del suo lavoro e che consigli darebbe a chi intende intraprendere la sua stessa carriera professionale?
Il segreto è semplice: serietà, sapersi presentare, dialogare, essere onesti e rispettosi. Ai giovani consiglio di fare sacrifici, di avere sempre la volontà di mettersi in gioco e di lavorare con coscienza e spirito di iniziativa.
Che direbbe a chi, per motivi di studio o di lavoro, è costretto a lasciare il Sud?
Se bisogna andar via non ci devono essere ripensamenti. Per migliorare la propria situazione è necessario espatriare, se la propria terra non offre prospettive di crescita. Chi va altrove deve però farsi conoscere per quello che realmente sa fare, mettendoci sempre la passione in quello che fa.