Una silenziosa ribellione

Momenti in cui il peso dell'informazione diventa insostenibile.

Ci sono alcuni momenti nel cammino della vita nei quali il peso dell’informazione diventa insopportabile. Si avverte una sproporzione tra la propria capacità di pensiero e l’irruzione tumultuosa di immagini, parole e suoni che portano agli occhi e alla mente un’infinità di tragedie più o meno distanti. Ai bordi della cronaca la voglia di concedersi una pausa, una tregua per respirare un’aria diversa da quella imposta dalle notizie e dai commenti è forte. Si vorrebbe staccare la spina dal racconto mediatico e concedersi un po’ di silenzio, un po’ di riflessione. Soprattutto in giorni che invitano a riflettere sul significato ultimo della propria vita e sul significato che nella stessa vita assumono fatti, eventi, problemi. Quasi una forma silenziosa di ribellione all’eccessivo rumore mediatico: non per fuggirlo ma per non lasciarsi zittire, per non lasciarsi sopraffare, per non lasciarsi cancellare. Ai bordi della cronaca è, infatti, frequente un senso d’impotenza, d’inferiorità, d’insignificanza rispetto a quanto viene raccontato come grande, come straordinario, come smisurato. Chi sono io, cosa posso fare io di fronte al ripetersi assurdo di tragedie, di fronte all’arroganza del male, di fronte alla dilagante disumanità, di fronte al delirio di onnipotenza? Domande inquietanti e che pongono chi cammina ai bordi, ma non fuori, dell’attualità di fronte al bivio del Nulla e dell’Infinito. Dove stiamo andando? È la domanda più semplice e più diffusa. È la domanda che dice tutto e dice nulla. È la domanda che riassume l’inquietudine dell’uomo di oggi e che rimane accesa in lui nonostante i commenti, le interpretazioni, le spiegazioni, le analisi. È la domanda che richiama all’uomo di oggi un percorso interiore che forse aveva abbandonato o smarrito rimanendo così in balìa della tempesta mediatica. Questo sentiero intimo che è tracciato nella coscienza del credente e del non credente si rende visibile nei momenti più difficili senza ricorrere a colori forti e attrae senza forzare con violenza il pensiero dell’uomo. Ai bordi della cronaca si avverte questo movimento sismico dell’anima di cui non si parla e non si scrive perché non è possibile, o forse non è necessario, parlarne e scriverne. Non è un movimento distruttivo, non si alimenta di pessimismo perché la cronaca offre anche “piccoli” sprazzi di bene e di speranza: “piccoli” nel racconto mediatico ma “grandi” nel loro opporsi alla rassegnazione al male, all’odio, alla violenza. C’è comunque “qualcosa” che sfugge ai media ed è bene che sia così perché anch’essi non cadano nella rete del delirio di onnipotenza, dove altri purtroppo sono già. Delirio che rimane sempre un grande rischio per l’uomo, una grande minaccia per il suo futuro, un triste annuncio di distruzione di morte per il mondo. Ai bordi della cronaca ci si ritrova, proprio in questi giorni, con la gente che sale verso un monte dove c’è il segno dell’antico delirio di onnipotenza che cancella l’uomo ma che, nello stesso tempo, è il segno di una debolezza che rivela l’uomo nel suo essere Infinito. Con le parole della fede si esprime il significato ultimo di questo segno. Le parole di chi sta ai bordi della cronaca sono solo per dire che questo segno, spesso citato e altrettanto trascurato, ricorda anche oggi che l’ultima parola della storia non sarà quella del male. A ricordare questo sono oggi le vittime innocenti di una indescrivibile disumanità. Quel delirio di onnipotenza, alimentato sia dall’odio che dall’indifferenza, è sconfitto nello stesso momento in cui c’è chi muore per dire al mondo che quel segno sul monte non è fatto legno ma di umanità.