Uso delle piante da parte dell’uomo

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Il settore di studi abbraccia diverse branche del sapere tra cui l’antropologia e la linguistica

L’etnobotanica è una scienza interdisciplinare che coinvolge la botanica, l’antropologia e la linguistica e si occupa dell’utilizzo delle piante nelle diverse popolazioni locali.
“Gli ambiti di studio ed i settori esplorati da questa disciplina sono numerosi: dalle piante alimentari, a quelle medicinali, dalle specie utilizzate in agricoltura e nella zootecnia, alle piante usate nell’artigianato e quelle legate ai miti ed alle credenze”, come descritto da Carmine Lupia, botanico e fitosociologo, si occupa di etnobotanica da trent’anni, docente di Botanica farmaceutica presso l’Unical, collabora con l’università Magna Grecia di Catanzaro e con la Cattolica, direttore del Conservatorio Etnobotanico Mediterraneo di Sersale, in provincia di Catanzaro e di quello si Etnobotanica di Castelluccio Superiore, in provincia di Potenza. “I nostri Conservatori sono centri di ricerca e studio del rapporto tra l’uomo e le piante, sono all’avanguardia e rappresentano un’esclusiva sul territorio nazionale ed europeo”, quanto specificato da Lupia, con il quale abbiamo fatto un excursus su alcune piante rappresentative del nostro territorio.
“Il cosentino, in passato, era un’eccellenza per quanto riguarda la produzione della ‘manna’, un dolcificante a base di mannosio, estratto dal frassino minore. In molti paesi tra cui Castrovillari, Altomonte, Bisignano, Saracena, Corigliano Rossano, il commercio del prodotto è durato fino agli inizi del Novecento, mentre la tradizione è poi durata sino agli anni Settanta. Abbiamo compiuto diversi studi in questo ambito anche con il professore Giancarlo Statti dell’Università della Calabria, il nome è simile alla manna di cui si parla nella Bibbia, ma quella proviene da un lichene presente nei deserti del Medio Oriente e sul Sinai”, le parole dell’ etnobotanico.
Tra le piante alimentari di cui è ricca la nostra provincia, vanno segnalate tutte le verdure del gruppo delle cicoridee, nella nostra regione ne esistono 75 tipi diversi.
Molto importante la tradizione della gomma da masticare di Castrovillari ed Altomonte, che si estraeva in Calabria già nel periodo greco, molto apprezzata e di grande qualità, della quale ci sono moltissimi documenti risalenti all’epoca del Regno di Napoli. Veniva estratta dal lentisco e si chiamava ‘cingomma’, dal nome greco della pianta.
“Altra particolarità del nostro territorio l’utilizzo delle ghiande delle diverse specie di querce, molto utilizzate non solo per la farina alimentare, infatti nelle nostre ricerche abbiamo trovato un ricettario del 1800 che descrive, tra i prodotti tipici della zona di Cosenza, il pane di ghiande, ma venivano utilizzate anche torrefatte per produrre la famosa bevanda detta ‘ciofeca’, poi scomparsa con l’arrivo del caffè”, così Carmine Lupia che ha continuato: “In Sila vi era una grandissima produzione di piccoli frutti, more di rovo, fragoline, lamponi, già in epoca greca, ma poi questa si è ancora di più rafforzata con l’arrivo dei Normanni. Con l’utilizzo della neve si producevano granite, gelati e le ‘scirubette’, per tutto l’anno, anche d’estate, grazie alle neviere delle faggete esposte a nord”.
Tra le piante ad uso medicinale, molto diffuso nel cosentino l’utilizzo della corteccia del salice, utilizzato come antinfiammatorio e analgesico. Molto rinomata la produzione della pece bruzia, che veniva usata per gli infusi, insieme alle gemme di pino e menta, per le sue proprietà antibatteriche ed antivirali. La pece veniva estratta dal pino laricio, una pianta endemica del calabrese, tra i diversi utilizzi anche quello di impregnante, come protezione per le navi, spesso costruite proprio utilizzando il prezioso legname.
“Il pino laricio era impiegato anche per le costruzioni, è stato utilizzato, infatti, per molti monumenti in Italia, anche la Basilica di San Pietro è stata costruita utilizzando le travi di questo legname, come testimoniato da numerosi documenti e Bolle papali”, come sottolineato da Lupia.
Tra le specie di piante utilizzate come coloranti, particolarmente diffuso l’utilizzo del sambuco, che veniva considerato anche ‘l’inchiostro dei poveri’, usato anche come colorante alimentare e per tingere i tessuti e le stoffe.
In ambito artigianale, ad esempio, il pino laricio, il castagno, il salice, l’ulivo e l’olmo venivano utilizzati per creare ceste e panieri.
Carmine Lupia è autore, insieme a Giancarlo Statti del volume ‘Le erbe di San Francesco di Paola’: “Il Santo era un grande conoscitore della botanica del cosentino, utilizzava molte piante dalla ginestra, alle fragole di bosco, la quercia, la salvia, le utilizzava per farne dei rimedi, dei medicamenti, dei preparati erboristici e delle infusioni, era esperto nelle tecniche erboristiche, probabilmente apprese nei suoi viaggi o dalle popolazioni rurali, alle quali era molto vicino- le parole di Lupia che ha concluso: “Fortunatamente stiamo compiendo numerosi studi e stiamo mettendo i risultati su carta perché, purtroppo, la trasmissione orale delle nostre tradizioni in ambito botanico, dopo millenni in cui ha funzionato benissimo, nell’era della globalizzazione sta subendo un duro colpo, con la perdita di gran parte delle nostre conoscenze a causa di esigenze ed interessi di mercato”.