Violenza domestica: andiamo oltre quello che si vede sui social

Andare oltre i "segnali" e chiedersi se la realtà corrisponda a quello che vediamo su internet: una riflessione alla luce del drammatico omicidio avvenuto a Caccamo, in Sicilia

Una foto presumibilmente scattata con il cellulare, magari “migliorata” con qualche effetto di Instagram; le luci di Natale sullo sfondo; due ragazzi, lui diciannovenne, lei neanche maggiorenne, che si abbracciano: lui, Pietro, è accusato di aver brutalmente ucciso lei, Roberta, prima dandole fuoco dopo averla cosparsa di benzina, poi buttandola giù da un dirupo. Da non crederci, se non fosse che da giorni i quotidiani continuano a rivelare dettagli su dettagli di questa terrificante, sconvolgente, agghiacciante storia di violenza domestica, avvenuta a Caccamo, un piccolo paese di 6.000 anime alle porte di Palermo, lì dove tutti conoscono tutti e dove comunque nessuno ha saputo fino a quando non si è più potuto tornare indietro.

Perché più di una vita spezzata e di una per sempre rovinata, più di una famiglia che dovrà per sempre affrontare il dolore più inimmaginabile che si possa pensare e più di un’altra che dovrà per sempre vivere con il fardello di aver cresciuto un omicida, ci sono tutti i momenti in cui potevamo capire che qualcosa non andava, tutte le volte in cui un occhio nero, un “non posso uscire” e una scenata di gelosia non ci hanno insospettito.

Così abituati a guardare gli altri attraverso lo specchio che ci offrono i social, non immaginiamo neanche che dietro il post smielato, dietro la coppia in posa e ben vestita, dietro gli sguardi apparentemente pieni d’amore e dietro i sorrisi felici, possano nascondersi calvari, inferni in terra, soprusi inimmaginabili. E non fermandoci a pensare, non chiedendoci nemmeno se i nostri “amici” siano davvero felici come appaiono, ci troviamo poi, quando è troppo tardi, quando la violenza viene allo scoperto o, peggio ancora, quando il delitto è già avvenuto, a riguardare quelle foto, a scovare il sorriso un po’ più forzato, l’occhio che grida aiuto, il livido che neanche il filtro più coprente è riuscito a nascondere. Cerchiamo tracce che non possono esistere lì dove tutto è artefatto, ossia in una galleria di foto che spuntano dovunque, freneticamente, forse anche in modo inopportuno, per chiedere scusa di non averle invece cercate nella quotidianità, nelle scenate di gelosia a cui abbiamo assistito e nei segni sul corpo a cui dovevamo prestare più attenzione.

Allora smettiamola di affidarci a quello che i profili sul web forse ci dicono di qualcuno e iniziamo a domandarci come possiamo aiutare le donne che hanno bisogno di aiuto e non sanno come chiedercelo. Iniziamo a porci il problema, fermiamoci a riflettere un minuto di più. Non attraverso la lente di un social network, ma dal vivo, con gli occhi e con il cuore.