Diocesi
Voglio essere presenza viva di Gesù per tutti i bisognosi
Dalla vita da parrocchiano all’esperienza in seminario. La storia vocazionale del novello sacerdote don Antonio Acri, originario di Mendicino
“Durante il mio ministero presso l’Ospedale civile Annunziata di Cosenza ho scoperto un nuovo modo di essere presbitero. Pensavo che interpretare al meglio il messaggio della pastorale volesse dire soprattutto essere un buon prete in parrocchia. Invece, ho imparato a essere presenza di Gesù stando al fianco di chi soffre in un letto di ospedale: far sentire la propria vicinanza a un ammalato è una delle forme più intime di catechesi. Mi sono preparato per tanti anni a esprimere a parole il conforto, ma, tra i reparti, mi è spesso capitato di optare per il silenzio”. Antonio Acri è l’emblema del sacerdote che vuole spendersi soprattutto per chi è in difficoltà e per chi ha bisogno di ricordarsi che Gesù è vicino in particolar modo a chi sta male. La sua ordinazione, avvenuta venerdì scorso, 19 giugno nella cattedrale di Cosenza, è arrivata al termine di un percorso di vocazione intenso ed emozionante. “Il mio incontro con il Signore – spiega don Antonio –non rispecchia il cliché sacerdotale. Ho sempre descritto la mia chiamata con un motto: “L’amore vero si prova con il fuoco”. Quando avevo dieci anni, la mia famiglia e io non eravamo assai praticanti e andavamo a messa soltanto durante le feste comandate.
Una piccola situazione di sofferenza ci ha permesso di avvicinarci a Dio e alla parrocchia del mio paese, cioè Mendicino. Quell’atteggiamento di vicinanza insolito, che non ci si aspetta da parte di chi non si conosce, mi ha portato a conoscere meglio la vita di fede”. E continua, raccontando un’esperienza che gli ha cambiato la vita: “A quattordici anni mi hanno diagnosticato un osteosarcoma di terzo grado alla tibia. Ho cercato di vivere questo dolore quasi come un’avventura, anche se percepivo l’apprensione dei miei genitori. Mi sono accorto, però, di come il nostro dispiacere fosse condiviso da tutta la comunità in una dimensione quasi familiare”. A supportare e ispirare Antonio nella sua crescente voglia di dire sì al Signore, una figura su tutte. “La mia vocazione – racconta – nasce soprattutto grazie all’esempio del mio parroco, don Enzo Gabrieli. Fin da bambino guardavo a lui con ammirazione e simpatia. D’altronde, dietro ogni persona che si avvicina a Dio c’è sempre qualcuno che fa da ponte. La mia curiosità spirituale è stata stuzzicata dall’incondizionato zelo pastorale di questo sacerdote giovane che si è scommesso e si scommette ogni giorno per la sua comunità. La sua dedizione è stata il mezzo attraverso il quale ho sperato ardentemente di diventare come lui”. Proprio don Enzo ha continuato a guidare Antonio anche negli anni della formazione: “Tra i vari consigli che mi ha dato– spiega – mi è rimasto impresso il suggerimento di studiare sempre la teologia avendo una prospettiva. Nel momento in cui apprendo un concetto o un dogma, devo pensare a come comunicarlo alla mia gente. Interpretare la teologia in chiave pastorale è stata la marcia in più che mi ha permesso di proseguire nel mio percorso di fede con passione e con dedizione”. Dalla vita da parrocchiano all’esperienza in seminario: del periodo appena conclusosi don Antonio conserva un ricordo splendido. “I miei formatori – prosegue – si sono impegnati affinché crescessi umanamente, perché prima di essere un bravo prete era fondamentale che io diventassi un uomo buono e maturo. Per questo motivo ringrazio don Luigi Bova, don Dario Montemaggiore e padre Fabio Bastone per avermi seguito nel mio percorso. All’interno del seminario ho smesso di comportarmi da adolescente e sono diventato adulto. Quest’esperienza di formazione è stata poliedrica e positiva. Grazie agli input di chi mi ha seguito, sono cresciuto nella fede, avvicinandomi ancora di più al Signore”. Durante il suo percorso vocazionale Antonio ha anche imparato cosa voglia dire dare un ordine cristiano alle proprie giornate. “La vita in parrocchia – racconta – è organizzata diversamente, ma, così come quella in seminario, si basa su capisaldi come la preghiera, la liturgia delle ore, l’eucarestia e l’adorazione. Come diceva il cardinale Carlo Maria Martini: ‘L’agenda del prete la mette il popolo’”. E nel tempo libero? “I miei hobby – spiega don Antonio – sono tre: sono juventino, sono un grande appassionato di motori – tanto che amo andare in giro nelle concessionarie a guardare le macchine nuove – e sono un fan sfegatato di Renato Zero”. E continua: “Fin dagli anni dell’adolescenza, poi, mi sono innamorato del mondo del giornalismo tanto che da aprile 2016 sono giornalista pubblicista. La missione di chi informa seguendo la stella polare dei valori cattolici è stagliarsi dalla cattiva informazione. Se il giornalista è già di per sé dedito alla verità in virtù di un codice deontologico, il giornalista cattolico lo è ancora di più per la sua morale cristiana, in obbedienza al Vangelo. Per questo motivo, è tale se veramente agisce, opera, scrive e racconta agli altri il messaggio della verità. Il mio augurio per tutti i colleghi è che il lettore comprenda chi siamo non perché c’è scritto nella firma ma per i nostri contenuti”. Oltre al giornalismo, però, ci sono altre due grandi passioni nella vita di don Antonio: “Mi interesso di politica”, afferma con orgoglio. E prosegue: “Non penso che un prete sia obbligato a fare politica, ma credo fortemente nella dottrina sociale della Chiesa, cioè in un’azione chiara per i cristiani e per i battezzati, affinché siano sale e luce della terra nel mondo. In linea con quello che dice papa Francesco, non siamo cristiani solo perché andiamo a Messa, ma lo siamo perché portiamo i nostri valori nella società in cui viviamo. Quindi, non posso che essere appassionato di politica, nell’accezione di più alta forma di carità, secondo quanto detto da papa Paolo VI». A questa partecipazione alla vita nella “polis” si affianca l’amore per il diritto. “Ho adorato – continua – studiare il diritto canonico, perché la legge è la mia passione, quella che mi ha sempre accompagnato fin da quando frequentavo le scuole medie. Se non fossi diventato prete, probabilmente mi sarei iscritto a giurisprudenza”. Idee chiare e interessi variegati: questo è don Antonio. Ma quando gli si chiede che tipo di sacerdote spera di essere, l’emozione lo travolge. Ci pensa a lungo, tentenna e cerca di riorganizzare i suoi pensieri: “Voglio diventare un parroco che guarda all’altro come se l’altro fosse Gesù Cristo. È quello che il Signore ci chiede, svelandoci così il segreto della vita cristiana”, conclude.