Diocesi
Voglio solo fare la mia parte per Dio e per l’uomo
Una chiacchierata con don Rodolfo Bruschi, giovane parroco nel cuore della Sila
A San Giovanni in Fiore, cittadina nel cuore della Sila con quasi 18 mil abitanti nella parrocchia centrale che custodisce l’antica abbazia di Gioacchino da Fuiore, la cura pastorale dei fedeli è stata affidata ad un giovane sacerdote, don Rodolfo Bruschi, che ha seguito anche un master di Pastorale familiare.
Impegnato nella pastorale, non nasconde le difficoltà di una scristianizzazione in atto e di un cambiamento d’epoca, ma anche l’entusiasmo di adoperarsi con fantasia per raggiungere i suoi fedeli e le persone che sono in ricerca. “I sacramenti sono una via ordinaria privilegiata per sostenere il cammino personale e delle famiglie” dice do Bruschi “ma non vanno sganciati dalla vita e dal quotidiano. Non sono riti magici né tradizione ma esperienza di incontro con Dio”.
“Lo stile sinodale è un po’ più faticoso perché richiede ascolto e tempi più lunghi” aggiunge ma “da tante soddisfazioni quando le scelte sono condivise, quando ti lasci illuminare anche dalla parola del più piccolo. E’ uno stile che non fa mai spegnere lo Spirito”.
E’ un giovane di trent’anni, ordinato il 19 giugno 2020, ma con tanta disponibilità dopo aver fatto il vice parroco ha accetto la sfida di servire una comunità un po’ lontana dal centro ma ricca di storia e di valori. “Dove c’è l’uomo il Signore ti aspetta – ha detto a PdV – e per questo ho detto subito di si al mio vescovo che mi ha mandato nella cittadina silana. Sono giovane è adesso il tempo dell’esperienza, della missione, della disponibilità e del coraggio di tuffarsi”. Racconta la sua gratitudine per il suo parroco, i formatori, i sacerdoti che il Signore gli ha messo sulla strada, oggi cerca di fare la sua parte “per Dio e per l’uomo”.
Cosa significa oggi vivere una vita sacramentale attiva, secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II?
Il Concilio Vaticano II ha voluto guardare con occhi rinnovati al mistero della Chiesa, essa è dunque “sacramento dell’intima unione dell’uomo con Dio” – come leggiamo nel proemio della Lumen gentium. Sacramento significa segno concreto e visibile, pertanto ogni cristiano è chiamato a vivere attivamente la propria vocazione battesimale come “pietra viva” che edifica la Chiesa: con la sua storia, con le sue capacità ma soprattutto con la sua stessa vita. Vita sacramentale attiva, non significa e non si può ridurre alla semplice “partecipazione alla messa”, bensì è quella risposta spontanea e libera che deriva dall’apertura al mistero di Cristo. È lasciare entrare Gesù affinché ogni vita abbia quel sapore di Vangelo che rende capace di percepire ogni cosa secondo lo sguardo di Dio, ecco perché il Concilio vede la Chiesa come segno concreto dell’unione, quel ponte che unisce Dio e gli uomini. Siamo chiamati tutti ad essere ponti e non muri nell’incontro con Dio, aprirci ai fratelli che desiderano questo incontro, solo così nella bellezza della comunione possiamo superare le fragilità ed essere più sicuri e meno soli cammino della santità.
Amoris Laetitia è un invito ad accogliere e accompagnare le fragilità. Come si realizza questo nella pastorale dei giovani che si preparano al matrimonio?
Sicuramente c’è bisogno di far comprendere che il matrimonio è una scelta fondamentale della vita; dunque, è necessario avere una coscienza ben preparata al mistero di questo grande sacramento. Quando parlo ai giovani che si preparano al matrimonio assicuro loro che avere quella “giusta paura” è una grazia. Purtroppo, sempre più spesso noto che il matrimonio si pensa solo con le coordinate di una celebrazione emozionante e non di una scelta concreta, stabile ecco dunque la necessità di far comprendere che nonostante le difficoltà si tratta di un dono, e del dono più grande: cioè la vita. Accogliere ed accompagnare le difficoltà significa soprattutto ascolto e dialogo; significa esserci: presenza che sia capace di guardare oltre l’errore e trovare insieme la strada migliore da percorrere. Mi sia permesso dire che oggi più che mai le difficoltà sono soprattutto caratterizzate da una mancanza di confronto che porta a gettare la spugna nella facilità più distruttiva. Invito sempre a discernere e crescere nello scambio costruttivo senza avere paura.
Cosa significa fare comunità attorno all’altare e quanto gli organismi e i gruppi della parrocchia possono essere sentinelle per creare inclusione?
La comunità trova il suo punto centrale e di riferimento proprio nell’altare del Signore, attorno al quale si nutre della sua Parola e dell’Eucarestia per essere lievito di comunione nella massa del mondo. Bisogna essere sempre pronti, per rispondere con immediatezza a quella chiamata che il Signore ci fa costantemente: “chi vuole venire dietro a me prenda la sua croce e mi segua”. Seguire il Signore non è certo facile, richiede lo “stare dietro” e il “prendere la croce” azioni che ci mettono in discussione con noi stessi, facendoci vedere i nostri limiti e i nostri difetti, i quali vengono fuori soprattutto nel vivere insieme, ma se riconosciuti e vissuti sotto l’amorevole sguardo misericordioso del Padre e con l’aiuto di chi mi cammina a fianco, non sono semplici ostacoli da superare bensì possono diventare i punti di partenza di un cammino nuovo secondo il Vangelo di Cristo, creando così percorsi di inclusione.
Preti e laici insieme per…qual è il sogno di un giovane sacerdote?
Bhe, è una domanda alla quale ci penso spesso. Qual è il mio sogno? Immagino sia il sogno di tutti i giovani preti, provare ogni giorno a fare la volontà di Dio alla quale ci ha chiamati: essere costruttori di speranza predicando il suo Vangelo soprattutto con la vita. Spesso quando parlo alle famiglie mi trovo a dire di non credere assolutamente nella “famiglia del mulino bianco” priva di turbamenti e difficoltà e con quel sorrisetto falso sul volto, così come credo anche che non esista una esperienza di parrocchia dove manchino preoccupazioni ed esitazioni, anzi sono proprio questi il luogo e lo spazio dove misurarsi: è qui che si attua concretamente quel “prendere la croce gli uni degli altri”: essere comunità! Quindi il mio sogno resta quello di camminare nella fedeltà per la strada che il Signore mi indica, con la comunità che mi ha donato. Sono felice di servirlo ogni giorno, e vorrei tanto che questa felicità sia germe di nuove e tante vocazioni.
E’ grato alla gente che sostiene i sacerdoti anche grazie all’8xmille “la gente calabrese è buona, vuole bene ai sacerdoti” e anche il sistema di redistribuzione delle risorse che garantisce a tutti una vita dignitosa e non si fa a gara per questa o quella parrocchia. “Almeno da questa tentazione la Cei ha liberato i suoi preti” conclude “O sei parroco a Milano a nel cuore della Sila puoi servire sapendo di avere la giusta retribuzione per poter fare un passo anche domani”.