La giovane di Longobardi preservò fino alla fine la dignità e l’integrità del suo corpo
Arcangela Filippelli la martire pura
L’ennesimo caso di femminicidio ai danni di una giovane donna, Giulia Cecchettin, strappata alla vita nel fiore degli anni, ci sèpingea intensificare la lotta contro la violenza di genere. Il caso della nostra Arcangela Filippelli, martire della purezza.
Tra le povere anime spezzate dalla furia omicida di uomini senza scrupoli c’è quella della Serva di Dio Arcangela Filippelli, nata a Longobardi (CS) il 17 marzo 1853 dal bracciante Vincenzo e dalla filatrice Domenica Pellegrini. Arcangela crebbe in una famiglia di umili origini contadine che viveva in contrada Timpa, lontano dal centro abitato. I suoi genitori le inculcarono il senso del dovere, le insegnarono ad essere devota alla Chiesa e a rispettare i sacramenti e le festività liturgiche. Ciò che contraddistingueva la sedicenne non era solo la bellezza esteriore ma, specialmente, quella interiore dovuta al profondo legame con Dio, a cui si rivolgeva nei momenti di meditazione personale e in parrocchia. Questa vera cristiana, dedita al catechismo e avvezza alla recita del rosario e delle preghiere, si mise alla sequela di Cristo e seguì l’esempio di alcune sante che lei stessa prendeva a modello, tra cui Sant’Innocenza e Santa Domenica di Tropea. Sant’Innocenza visse durante le persecuzioni romane contro i cristiani, morendo vergine e martire. Il suo corpo fu traslato da Roma a Longobardi nel 1697 per volontà di San Nicola Saggio, frate dell’Ordine dei Minimi nativo dello stesso paese tirrenico. Santa Domenica, originaria di Tropea, venne martirizzata in Turchia e morì nel 300 d.C. durante le persecuzioni di Diocleziano, preservando la sua verginità e mantenendosi fedele a Dio. Quest’ultima è patrona di Longobardi nonché titolare della chiesa Matrice, nella quale la Filippelli venne battezzata nel 1853. Il martirio fu un’esperienza che Arcangela condivise con queste sante, vivendolo intensamente nel corpo e nell’anima. Fu uccisa la domenica di carnevale del 7 febbraio 1869 nel bosco privato in contrada “Russo”, dove si era recata per cercare legna insieme alle tre figlie di Anna Provenzano e Arcangelo detto “Lucifero”. L’assassino fu il figlio ventiduenne di questa coppia, Antonio detto “il facione”, che accompagnò le fanciulle con il pretesto di aiutarle nella ricerca degli sterpi. L’uomo fece proposte sconce alla bella Arcangela di cui si era invaghito, uccidendola con una scure dopo l’ennesimo rifiuto da parte di quest’ultima di piegarsi al suo volere. A niente valsero le urla della giovane, che aveva invocato la Vergine Maria dicendo: “La Madonna non vuole… È peccato… Morta sì, ma non mi farò mai toccare da te”. Parole che denotano tutta la sua forza d’animo, la ferma volontà di proteggere il suo corpo dalle mire carnali del suo aggressore, e la sua religiosità custodita fino alla fine e mai messa in discussione. I tentavi di occultamento delle prove da parte dell’assassino furono vani. Dopo alcuni giorni di indagine, infatti, Antonio venne arrestato e rinchiuso prima a Fiumefreddo e poi condotto a Cosenza. Tutta la popolazione di Longobardi prese parte ai funerali di Arcangela, che fu seppellita nel cimitero cittadino. L’omicida fu sottoposto a processo penale davanti alla Corte d’Assise di Cosenza, nel corso del quale i testimoni ribadirono la correttezza, la rettitudine e l’educazione della povera ragazza e della sua famiglia. Il processo si concluse il 17 maggio 1869 con la condanna a morte di Antonio, il quale però morì in carcere per cancrena il 5 agosto 1872. La tomba della Filippelli divenne ben presto meta di pellegrinaggio attirando gente da più parti. In seguito ad una missione popolare curata da don Domenico Cananzi, e con l’autorizzazione del vescovo di Tropea, il corpo venne traslato nella Chiesa di San Francesco di Paola a Longobardi dove fu eretta la lapide con su scritto: “Morì nella strenua difesa della purezza sotto l’infuriare dei colpi vittima gradita a Dio luminoso esempio”. L’Arcivescovo di Cosenza, mons. Enea Selis, fece erigere una monumentale croce nel luogo del martirio della giovane il 22 settembre 1973, alla presenza tra gli altri di Suor Elisa Miceli, fondatrice delle Suore Catechiste Rurali del Sacro Cuore, dichiarata Venerabile e profondamente devota alla giovinetta, di cui apprezzava le virtù eroiche. Il parroco di San Francesco, don Francesco Miceli, raccolse prove per chiedere l’avvio della causa di canonizzazione di Arcangela, ma la sua morte e l’annessione di Longobardi alla diocesi bruzia misero un freno a questo suo progetto. Fu poi mons. Giuseppe Agostino, Arcivescovo di Cosenza-Bisignano, che raccolse altro materiale sui santi della Chiesa bruzia, tra cui la Filippelli, costituendo un’apposita Postulazione. Mons. Salvatore Nunnari accolse la richiesta della Postulazione, dell’Azione Cattolica diocesana e dei paesani di Longobardi avviando nel 2007, con il parere favorevole della Cei e il nulla osta ricevuto dalla Congregazione delle Cause dei Santi, l’inchiesta diocesana sulla fama di santità e di martirio, terminata poi nel 2014. Mons. Nunnari scrisse una lettera pastorale ai giovani della diocesi cosentina intitolata “Arcangela Filippelli. Un candido fiore nel giardino della Chiesa”, parlando della Serva di Dio come di un “esempio di fedeltà ai principi cristiani e morali trasmessi proprio nella sua famiglia”. La bellezza interiore – ricorda il presule – le diede il coraggio per tentare di opporsi alla malvagità del suo assalitore. La sua esistenza era orientata verso mete nobili che includevano l’adesione al Vangelo, la castità del corpo che è “tempio di Dio”, la purezza intesa come virtù cristiana, il matrimonio come unico vero patto d’amore con il Padre Celeste. Lo stesso triste destino toccò ad altre martiri pure di cuore, come Maria Goretti che rimase vittima di omicidio nel 1902 dopo un tentato stupro. Mons. Nolè sostenne, in occasione della Solennità di Tutti i Santi nel 2018, il bisogno di “scoprire e gustare la bellezza e la ricchezza di persone sante che il Signore ha donato e continua a donare alla nostra chiesa di Cosenza-Bisignano”. Questo è un bisogno urgente nella società odierna, in cui i giovani sono disorientati eticamente e cadono preda di facili lusinghe. Necessitano di modelli e testimoni veri, semplici e incorrotti, e uno di questi è rappresentato proprio da Arcangela Filippelli, una donna libera che ha resistito al maligno e ha preservato la sua innocenza fino all’effusione del sangue, come segno del suo completo donarsi a Dio. La sua storia ha ispirato il film “Arcangela Filippelli. Martire della purezza” diretto da Franco Barca, prodotto dal nostro settimanale e dal Centro Studi Don Ciccio Salvino. La pellicola è stata girata tra Longobardi, Mendicino e Monte Cocuzzo con il patrocinio della diocesi di Cosenza-Bisignano.
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