Contro il virus il bene diffusivo dei cristiani che amano
Siamo chiamati a vivere nella storia, a interpretare i segni dei tempi portando la nostra esperienza di fede.
Il cristiano è chiamato a vivere la storia, a leggere i segni dei tempi, a interpretarli alla luce del Vangelo. Nel tempo in cui viviamo il virus più insidioso degli ultimi 50 anni, occorre ri-pensare la dimensione agapica e dialogica della nostra fede. Opportuno è partire dall’esperienza fondativa di Cristo, da quella kenosi che anzitutto ci rassicura, perché ci fa confessare che Cristo ha assunto su di sé tutti i germi di peccato del mondo.
Come si vive la dimensione dialogica nei giorni in cui in cui sentiamo ripetere l’espressione “distanza sociale”? Si vive un po’ come la vivono le monache e i monaci di clausura: nella preghiera e nel pensiero reciproco. Così San Paolo viveva, dalle catene, dalle regioni lontane, la sorte dei propri fratelli “amati dal Signore”. Tale dimensione dialogica permette di abbracciare il mondo intero. Ma c’è dell’altro, perché il dialogo per le strade, con tutte le accortezze del caso, è l’occasione per una kenosi reciproca, per ascoltarci, per ascoltare le nostre paure, le nostre ansie, le speranze che custodiamo. La crisi è il tempo della possibilità, della conversione.
A questo punto diventa intuitiva la dimensione agapica entro la quale siamo chiamati a entrare. È l’ontologia della carità, della dedizione, della cura dell’interesse verso il fratello. L’agape è alla portata di tutti, e non si attiva solo in caso di abbracci e baci, ma con sguardi di misericordia. Per rispondere al virus che si espande, serve il bene che sappiamo riconoscere in noi e trarre da noi, e che – come ci insegnano i saggi – è diffusivo!
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