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Distruggere chiese e religione. La storia fa luce sul piano sovietico nell’est europeo

Don Jan Mikrut, docente all'Università Gregoriana di Roma, è autore del volume “La Chiesa cattolica e il comunismo”, prima di una serie di pubblicazioni che indagano sulla repressione dello stalinismo nei confronti di cattolici, ortodossi e anche musulmani. La necessità di "fare i conti con il passato" per una vera riconciliazione all'interno dei singoli Paesi e tra comunità di fede e istituzioni politiche.

“Lo stalinismo presupponeva la superiorità del potere laico su quello ecclesiastico, l’imposizione della visione atea del mondo all’intera popolazione e l’uso strumentale della legge contro la  Chiesa”, osserva don Jan Mikrut, professore alla Facoltà di Storia e beni culturali della Chiesa dell’Università Gregoriana di Roma e curatore del volume “La Chiesa cattolica e il comunismo” (edito da Gabrielli). L’ampio volume, con la prefazione del cardinale Miroslav Vlk, è il primo di una collana dedicata alla storia della Chiesa in Europa centro-orientale. “Finché non avverrà il riconoscimento delle colpe non possiamo parlare del passato né del perdono”, ha affermato il segretario della Congregazione per le Chiese orientali, monsignor Cyril Vasil’, presentando nei giorni scorsi in università il libro e analizzando il complicato rapporto tra giustizia e perdono cristiano nei confronti di un regime che si prefisse di distruggere non solo le Chiese, ma anche la religione.

Come nata l’idea della collana?
Ci sono molti documenti e studi – spiega don Mikrut – dedicati alle persecuzioni della Chiesa cattolica in diversi Paesi, ma tutti in lingue diverse, e quindi difficilmente accessibili. Il progetto editoriale si compone, oltre a questo, di altri due volumi che vedranno la luce ancora quest’anno. Il secondo volume sarà dedicato alle testimonianze dei cristiani, mentre il terzo alla storia della Chiesa cattolica sul territorio dell’Unione Sovietica.

Come cominciarono le repressioni dei cattolici nei Paesi comunisti?
Nel settembre del 1947 al Convegno dei partiti comunisti in Polonia il rappresentante russo Andriej Zdanov presentò un piano di eliminazione della Chiesa cattolica in tutti i Paesi del blocco sovietico. Il suo progetto, basato sul modello sovietico applicato negli anni Venti nell’Urss, consisteva nella distruzione delle gerarchie e poi dei più eminenti tra sacerdoti e laici. Nella prima fase dovevano essere arrestati i vescovi eliminando così la guida della Chiesa, e si dovevano isolare le persone apprezzate dai credenti. Allo stesso tempo bisognava creare gruppi di laici collaborazionisti, fedeli al regime e avversari della gerarchia. La Chiesa greco-cattolica nell’intera zona sovietica doveva essere integrata nelle strutture della Chiesa ortodossa, cosa che avvenne per esempio in Slovacchia nel 1950.

In che modo quel modello fu poi adattato alle diverse realtà nazionali?
La politica sovietica di annessione spezzò l’antica struttura dell’Europa: Lituania, Lettonia e Estonia, nonché i territori orientali della Polonia, l’Ucraina, la Bielorussia e la Moldavia furono inglobati dopo il 1945 all’Urss e persero la loro indipendenza. I Paesi come la Polonia, la Cecoslovacchia, l’Ungheria e la Germania Orientale (Ddr) divennero invece Paesi satelliti.La portata delle repressioni nei confronti della Chiesa dipendeva dal luogo in cui viveva la comunità cristiana. Mentre nella parte esterna dell’impero sovietico esisteva un certo spazio per dimostrare la propria indipendenza e anche talvolta un’efficace resistenza, la collocazione all’interno dei confini dell’Urss, dove le repressioni erano molto violente, rendeva impossibile qualsiasi opposizione. In Polonia, dove la fase più dura della persecuzione staliniana fu relativamente breve, fino al 1953 furono arrestati o dovettero lasciare le loro diocesi 12 vescovi, 4 sacerdoti condannati dai tribunali furono fucilati, mentre 37 furono uccisi senza una condanna, altri 260 furono dichiarati scomparsi, 1.000 arrestati, 350 spostati in varie parti del Paese e 1.200 dovettero lasciare le parrocchie.

Era diversa la situazione nei Paesi dove i governi avevano collaborato con il Terzo Reich durante la Seconda guerra mondiale?
In Bulgaria, Croazia, Slovacchia, Ungheria e Romania le persecuzioni della Chiesa iniziarono subito dopo la fine della guerra con la pretesa di combattere un comune nemico ostile all’intero popolo. I comunisti jugoslavi già nel 1946, con il primo processo contro l’arcivescovo di Zagabria Alojzije Stepinac, provarono a staccare la Chiesa croata da Roma per creare una Chiesa nazionale. Come la Chiesa cattolica, anche la Chiesa ortodossa subì delle persecuzioni. Forse il più drammatico fu il caso dell’Albania dove tutte le comunità religiose, cristiani ma anche musulmani, furono perseguitati in modo più feroce e violento che in altri Paesi.

I metodi adottati dai comunisti per distruggere la Chiesa cattolica furono a suo avviso efficaci?
In alcuni casi sì: per esempio in Estonia tutto fu distrutto. È rimasta una chiesa a Tallin e un’altra in provincia e oggi sono rimasti pochissimi cattolici, nella maggior parte stranieri. I russi invece in Estonia hanno una Chiesa ortodossa molto viva, perché per loro essere russo significa essere ortodosso. Nella Repubblica Ceca durante il comunismo la Chiesa cattolica clandestina era caratterizzata da una grande vivacità, e da quella Chiesa provengono i cardinali Miroslav Vlk e Dominik Duka: eppure oggi il Paese sembra vittima di un materialismo diffuso e forse la comunità credente non si è più ripresa dalle persecuzioni subite.

Fonte: Sir
Distruggere chiese e religione. La storia fa luce sul piano sovietico nell’est europeo
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