Dopo la foto di Aylan media senza pietà
I flash si sono scatenati contro i bambini, alla ricerca di immagini sempre più forti, sempre più violente, sempre più capaci di mettere a nudo l'intimità indifesa di chi pensa solo a salvarsi. Se anche uno di quei bambini volesse dimenticare il dolore, le violenze e i lutti di questi giorni, mai potrà farlo e forse mai potrà perdonarci.
Alla fine dell’anno i profughi in Europa saranno un milione, un numero che atterrisce e mette in crisi la Ue e i governi. La matematica dice che in realtà è un numero irrilevante se rapportato ai 500 milioni di abitanti del Vecchio Continente. Ma la paura dell’altro, il timore dello straniero è così forte che fa ignorare le ragioni e fa venir meno la ragione. Anche in chi per mestiere e per vocazione dovrebbe scacciare i fantasmi e ricercare la verità dei fatti, come è richiesto ai giornalisti. Ma anche l’informazione sembra aver perso la bussola in questa vicenda. Quando i flussi migratori hanno cambiato natura, passando dai barconi pieni di “single” a intere famiglie in fuga, l’informazione è cambiata. Ai volti smagriti e agli sguardi vuoti di chi aveva attraversato il mare sfidando la morte si sono sostituiti i volti dei bambini. Come novelli Erode, fotografi e cameraman sono andati a caccia di lacrime, gesti e sorrisi di piccoli in fuga. La rappresentazione della tragedia è avvenuta attraverso quegli innocenti, a loro insaputa asserviti e sfruttati per una causa, ancorché giusta. I fatti hanno dato suggello di umanità a un’informazione cinica e al di là delle regole. Perché le frontiere si sono aperte e i profughi sono stati lasciati passare verso la terra promessa di Germania, Austria o Svezia quando i media hanno “sparato” la foto di Aylan, un bimbo siriano di 3 anni. Era annegato durante il tentativo di raggiungere la Turchia su un gommone. L’hanno trovato sulla spiaggia, riverso come se dormisse, con il volto nella sabbia. Un’immagine simbolo della tragedia che si stava consumando, un pugno nello stomaco della distratta Europa. Per Aylan si può capire, in fondo (è tristissimo doverlo scrivere!) non c’era più il suo futuro da difendere. Ma per tutti gli altri bambini, che per loro fortuna sono sfuggiti alla morte e un futuro l’avranno, perché la silenziosa gogna mediatica quotidiana? Dopo la foto di Aylan, infatti, ogni residua remora è caduta e i flash si sono scatenati contro i bambini, alla ricerca di immagini sempre più forti, sempre più violente, sempre più capaci di mettere a nudo l’intimità indifesa di chi pensa solo a salvarsi. Nelle redazioni i freni a scelte audaci sono caduti, tanto sono extracomunitari, non li riconosce nessuno, è stata la logica del ragionamento. E per evitare l’assuefazione, ogni giorno un’immagine più forte, fino ad arrivare a quella, in prima pagina, di un altro bimbo annegato tra le braccia di un adulto, forse il padre (“La Repubblica”,14 settembre).
Né pudore né pietà per chi e in fuga da terre senza pace per chiedere il diritto di avere diritti. Ma ci sono diritti che per loro non valgono, perché la Convenzione Onu, la legge sulla privacy, la deontologia dei giornalisti proteggono i minorenni dall’esposizione mediatica e difendono - dovrebbero difendere - quei volti indifesi dalle invasioni barbariche di telecamere e macchine fotografiche. Ma nessuno dei tanti custodi di regole e principi dice una parola, ricorda che ci sono limiti, soprattutto in un mondo fatto di comunicazione illimitata, nella quale immagini, parole e suoni sono destinati a vivere in eterno. Se anche uno di quei bambini volesse dimenticare il dolore, le violenze e i lutti di questi giorni, mai potrà farlo e forse mai potrà perdonarci. Perché il suo volto in lacrime gli tornerà sempre di fronte. Il suo sarà un passato che non passa, a testimonianza di un senso d’umanità anch’esso in fuga, ma dai territori delle nostre coscienze.
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