Flick: abolire il reato di clandestinità e l'ergastolo
Intervista sulla situazione del carcere in Italia e sull'atteggiamento dell'Europa nei confronti dei migranti con il presidente emerito della Corte Costituzionale. Interviene nei dibattiti sul reato di clandestinità, l'ergastolo, l'amnistia, la legge delega in discussione al Parlamento.
Abrogare il reato di clandestinità perché “inutile, dannoso” e supportato da una “giustificazione politica inaccettabile”; abolire l’ergastolo in quanto “ipocrisia e paradosso”; non utilizzare lo strumento emergenziale dell’amnistia per risolvere i problemi del carcere ma varare una buona legge delega, attualmente in discussione in Parlamento, per far sì che le pene detentive siano rispettose della dignità e dei diritti umani. E’ il parere di Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, il quale ha incontrato nei giorni scorsi i detenuti della casa circondariale di Padova, tra cui l’ergastolano Carmelo Musumeci, che gli ha rivolto una lettera aperta chiedendo aiuto a favore dell’abolizione dell’ergastolo. Flick allarga il discorso al tema dei migranti, invitando l’Europa a istituire un “Ministro dell’umanità” e ad applicare veramente la Convenzione europea dei diritti umani.
Quando era ministro della giustizia nel 1997 era favorevole all’ergastolo, ora ha cambiato idea?
Sì. Era vivo il ricordo del referendum in cui il popolo italiano aveva rifiutato l’abolizione e la Corte costituzionale ne aveva salvato la costituzionalità con una acrobazia giuridica: il ‘fine pena mai’ sarebbe incostituzionale ma poiché chi è condannato per un lungo periodo di anni può ottenere la liberazione condizionale se ha mostrato segni di ravvedimento, la pena in pratica non è più eterna, quindi diventa costituzionale. In questi anni l’esperienza ha invece dimostrato che vi sono situazioni di ergastolo ostativo in cui non si possono ottenere permessi premi o liberazione condizionale che consentano il reinserimento in società. L’Ue ha riconosciuto la conformità dell’ergastolo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a patto che vi sia una revisione del comportamento della persona dopo 25 anni. In questo contesto e di fronte al numero elevato di ergastoli ostativi in Italia – oltre un migliaio – l’affermazione della Corte costituzionale rischia di diventare un paradosso e una ipocrisia: l’ergastolo è una pena incostituzionale nella sua proclamazione e diventa costituzionale nella sua esecuzione solo se c’è – per tutti – la possibilità di un percorso di ritorno alla libertà quando lo si meriti. Sarebbe bene eliminare questa ipocrisia nel quadro di una revisione del sistema sanzionatorio, evitando cioè che il semplice passaggio da ergastolo a pena detentiva, con la cumulabilità dei benefici, porti chi è stato condannato ad uscire dal carcere dopo sette o otto anni. Bisogna tenere conto delle vittime, della rivolta morale di fronte a certi delitti efferati, ed affrontare il tema con molta calma e cautela.
Come vede la situazione delle carceri oggi?
Il carcere è la discarica sociale delle persone escluse, come tossicodipendenti o migranti, perché accoglie chi è considerato un rifiuto dalla società, la “cultura dello scarto” di cui parla Papa Francesco. E’ anche lo specchio della civiltà di un Paese. Non ho mai trovato ‘carceri a cinque stelle’ come dicono. Il carcere ha mantenuto, nonostante tutti gli sforzi, caratteristiche di violenza, di rigidità burocratica, di centralismo e di impermeabilità all’esterno.
Abbiamo ancora troppi paradossi, nonostante sia all’esame delle Camere il disegno di legge per una revisione del sistema carcerario, che tocca tanti problemi, tra cui il diritto all’affettività, alla salute, alla formazione, al lavoro. C’è assoluta necessità di intervenire non solo per far fronte al sovraffollamento, che stiamo affrontando, ma per contrastare una scarsa cultura. L’articolo 27 della Costituzione dice che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, altrimenti è illecita, ma resta una pena. Un trattamento contrario al senso di umanità invece è un reato, tanto che i giudici (come in Germania o negli Usa, ora anche in Italia) spesso si chiedono se possono condannare persone mandandole in luoghi in cui non si rispetta l’umanità. Non basta solo costruire nuove carceri. Bisogna riempirle di personale formato, facendo maggiore ricorso alle misure alternative. Il carcere deve essere sempre l’extrema ratio. L’esperienza dimostra che con le misure alternative la recidiva è del 30%, mentre in carcere è del 70%.
Il 6 novembre il Papa celebrerà il Giubileo dei carcerati. Si parla tanto della richiesta di un gesto di clemenza o di un’amnistia. Che ne pensa?
Non vedo le condizioni per un’amnistia, per diverse ragioni: tecnicamente e istituzionalmente non c’è una maggioranza politica sufficiente; la società è più orientata verso il concetto della ‘tolleranza zero’; non si tratta di rispondere a una emergenza con un’altra emergenza. La risposta a una eventuale domanda di amnistia dovrebbe essere una politica concreta per rendere più umano il carcere, levando gli automatismi e la burocratizzazione e assicurando condizioni di vivibilità. Ad esempio, facendo scontare la pena nel territorio dove vivono i parenti, con una maggiore presenza e formazione del volontariato, con maggiori rapporti con le realtà locali, per far capire a chi è dentro cosa c’è fuori e viceversa. La riforma del carcere prevista dalla legge delega dovrebbe essere uno dei primi obiettivi della riforma della giustizia. Sarà importante vedere quali saranno i contenuti: è questa la strada.
C’è poi il dibattito sul reato di clandestinità. E’ favorevole o no all’abrogazione?
E’ un dibattito che mi sconcerta. E’ un reato inutile o addirittura dannoso perché impegna risorse, lavoro giudiziario, impedisce di poter acquisire elementi utili per le indagini e crea problemi. Molti di noi sono convinti che non sia punibile concettualmente il diritto alla fuga dalla fame, dalla guerra, dalla miseria. Ci sono una serie di problemi tecnici legati alla condizione del clandestino: non solo si punisce uno status ma anche una condotta che è espressione di un diritto fondamentale a emigrare. La punizione è inutile, non dà effetti, crea soltanto problemi. Non abrogare questa norma solo perché l’opinione pubblica non la capisce, o non è pronta, è una giustificazione politica inaccettabile in materia di scelte di fondo e di scelte penali. Mi fa pensare ad una motivazione politica e non credo che le scelte di criminalizzazione o di depenalizzazione debbano rispondere a profili di questo tipo.
L’Europa ha stilato la Convenzione europea dei diritti umani ma molti Paesi stanno chiudendo di fatto le porte ai migranti. Un altro drammatico paradosso?
L’Europa sta attraversando un fortissimo momento di crisi identitaria. Quello che sta succedendo è drammatico. Se Auschwitz è stato il cimitero dell’Europa oggi il cimitero dell’Europa è il Mediterraneo. Il rifiuto dell’accoglienza dei migranti e di studiare politiche comuni europee, scaricando solo sui Paesi di frontiera la responsabilità di gestirli, come avvenuto con il Regolamento di Dublino e con la creazione di nuove frontiere interne – fili spinati, muri, sospensione di Schengen – lascia fortemente preoccupati. L’Europa è nata per la pace e la libera circolazione, ma se quest’ultima viene finalizzata solo ad una logica economica di mercato e non di rispetto dei diritti umani, non è più l’idea originaria a cui si pensava. L’Europa dovrebbe avere un ‘Ministro dell’umanità’ ed essere capace di applicare la Convenzione europea dei diritti umani e la Carta di Nizza per realizzare la dignità di tutti.
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