Il valore delle religioni in Europa. Per una società inclusiva
Intervista con la vicesegretaria generale Battaini Dragoni. A Strasburgo si promuove il dialogo tra comunità di fede, istituzioni e cultura.
La promozione del ruolo delle religioni nel dialogo interculturale, la lotta alla radicalizzazione e all'estremismo violento, la cooperazione con i Paesi del Mediterraneo e del Medio oriente, la stabilizzazione della Libia. Sono alcuni dei temi in agenda al Consiglio d'Europa. Giovanna Pasqualin Traversa ha incontrato per Sir Europa la vicesegretaria generale Gabriella Battaini Dragoni, che l'8 giugno ha presieduto al Palais de l'Europe di Strasburgo un seminario promosso dalla Missione permanente della Santa Sede presso il CdE in preparazione all'edizione 2015 degli incontri sulla "dimensione religiosa del dialogo interculturale" (Sarajevo 8-9 settembre).
Quale valore attribuisce il Consiglio d'Europa alle religioni?
"Da diversi anni ci siamo resi conto dell'importanza di coinvolgere i rappresentanti delle religioni e delle organizzazioni di atei e agnostici per facilitare un dialogo reciproco sui diritti e il rispetto delle diverse scelte al fine di contribuire, ritrovandosi sui valori fondamentali contenuti nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, a costruire un progetto di società 'inclusive' anche attraverso gli strumenti dell'educazione e del dialogo interculturale. Il CdE ha appena lanciato un piano per la lotta contro la radicalizzazione e l'incontro di Sarajevo sarà particolarmente significativo perché cade in questa cornice".
Che cosa prevede questo piano?
"Misure di carattere giuridico e sociale, partendo dalla Convenzione sulla prevenzione del terrorismo e dal Protocollo aggiuntivo adottato dal Comitato dei ministri lo scorso 19 maggio contro il fenomeno specifico dei foreign fighters. Previsti controlli per prevenirne la partenza verso i Paesi del Medio oriente, maggiore scambio di informazioni tra servizi di sicurezza e di intelligence nazionali, modalità di loro sorveglianza una volta rientrati nelle rispettive nazioni. Il nostro compito è fare sì che la sicurezza non sia a scapito della democrazia o dei diritti umani; occorre trovare un bilanciamento tra le due istanze. Risulta inoltre sempre più importante prevenire la radicalizzazione nelle carceri: in diversi Paesi, e in particolare in Francia, alcuni entrano in carcere per piccoli reati e ne escono radicalizzati".
Che cosa può fare la scuola in termini di prevenzione?
"Moltissimo. Abbiamo elaborato al riguardo un programma triennale d'impegno: occorre creare attraverso l'insegnamento un modo di parlare della nostra storia, cultura e società rispettoso di altre culture per evitare stigmatizzazioni e senso di esclusione che espongono al rischio di manipolazioni fondamentaliste, ma dobbiamo anche interrogarci su come riusciamo a integrare nelle nostre società le diverse comunità. Le nostre convenzioni sono aperte ai Paesi di vicinato. Se accetteranno di ratificare il Protocollo, potremo fare un passo avanti creando uno spazio giuridico comune di lotta contro il terrorismo e il fenomeno dei foreign fighters. In questo impegno di prevenzione appare strategico anche il ruolo delle diverse espressioni religiose e dei loro leader come filtro e mediatori di messaggi".
Si è aperta in Marocco, sotto l'egida dell'Onu, una nuova sessione di negoziati sulla Libia…
"Da anni il Consiglio d'Europa promuove la politica di vicinato con la sponda sud del Mediterraneo e con il Medio oriente. A seguito delle 'primavere arabe' abbiamo offerto assistenza e sostegno a Marocco, Tunisia e Giordania. Per quanto riguarda la Libia, spaccata tra il governo di Tobruk riconosciuto dalla comunità internazionale e i filoislamici di Tripoli, abbiamo tentato di avere contatti con le autorità legittime per discutere delle loro riforme costituzionali, giacché la costituzione è la colonna vertebrale di un Paese. Dobbiamo tuttavia constatare che se da una parte c'è uno sforzo internazionale enorme per aiutare i libici a sedersi intorno a un tavolo e trovare un compromesso necessario partendo dal presupposto che la situazione non può essere risolta in modo militare ma attraverso una negoziazione, avvertiamo che all'interno della Libia agiscono parti più favorevoli al confronto militare per imporsi sulle altre. Speriamo di intravedere di qui a fine mese qualche spiraglio di soluzione".
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