Italia islamizzata? Rischio praticamente impossibile
Sono circa 1 milione e 700mila le persone di religione musulmana (compresi gli irregolari, i minori e i neonati), meno di un terzo del totale degli oltre 5 milioni di stranieri in Italia. Una componente ritenuta importante ma certo non predominante. Alcuni osservatori pensano che nel 2030 potrebbero diventare circa il 5% della popolazione italiana. Gli scenari futuri ipotizzati dal Pew Research center (Usa) prevedono nel 2050 un aumento dell'incidenza nell'Ue non superiore al 10%, escludendo la paventata islamizzazione dell'Occidente.
E’ possibile tracciare una radiografia dei musulmani in Italia? Non esistono archivi pubblici dedicati alle scelte religiose per non invadere la privacy dei cittadini, quindi non ci sono ancora studi specifici sull’argomento, se non a livello territoriale o settoriale. Gli statistici deducono i loro dati a partire dalla nazionalità di provenienza, quindi presumendo un bagaglio di valori, riti, riferimenti e tradizioni riconducibili a un dato contesto socio-culturale. Le stime della Fondazione Ismu , proiettando i dati dell’Osservatorio Regionale lombardo al contesto italiano, calcolano 1 milione e 700mila persone di religione musulmana (compresi gli irregolari, i minori e i neonati), meno di un terzo del totale degli oltre 5 milioni di stranieri in Italia. Una componente ritenuta importante ma certo non predominante. Non vengono però conteggiati né gli italiani convertiti (circa 100mila) né gli ex stranieri che hanno acquisito cittadinanza italiana. Sono marocchini, soprattutto, e egiziani, tunisini, bengalesi. Sunniti per il 98%. Nell’Unione europea sono 15 milioni (il 3% della popolazione), nei Paesi europei non comunitari circa 97 milioni (13,7%). Gli scenari futuri ipotizzati dal Pew Research center (Usa) prevedono nel 2050 un aumento dell’incidenza nell’Ue non superiore al 10%, escludendo la paventata islamizzazione dell’Occidente. Alcuni osservatori pensano che nel 2030 potrebbero diventare circa il 5% della popolazione italiana.
Le nazionalità. Al primo posto vi sono i marocchini, con 504 mila presenze, seguiti dagli albanesi (271.000), comunità storicamente insediate sul territorio nazionale, che precedono di molto bangladesi (117 mila), tunisini (111 mila), egiziani (105 mila), pakistani (101 mila) e senegalesi (97 mila). A seguire i macedoni (59 mila), i kosovari (49 mila), algerini (26 mila), cittadini della Bosnia-Erzegovina (25 mila) e turchi (22 mila); più indietro i cittadini del Burkina Faso e i nigeriani, entrambi 13mila Il dato significativo, spiega Alessio Menonna, ricercatore della Fondazione Ismu, “è che le nazionalità mediaticamente oggi maggiormente associate all’islam sono più indietro in classifica, per numero di presenze in Italia, con numerosità esigue: 9mila iraniani, altrettanti afghani e altrettanti somali, 6mila maliani, 5 mila siriani, 3 mila iracheni, 2mila libici, un migliaio di palestinesi, forse una settantina di sauditi e altrettanti yemeniti”.
La distribuzione regionale. Secondo il Centro studi e ricerche Idos le regioni con le più alte percentuali di presenza musulmana, ossia al di sopra del 30% (tra gli immigrati residenti e in proporzione alla popolazione) sono: Lombardia, Emilia Romagna, Valle D’Aosta, Trentino Alto Adige, Sicilia, Piemonte, Marche, Umbria. Sorprendentemente bassa è invece la presenza nel Lazio, fanalino di coda tra le regioni con il 19,4%. A Roma i musulmani sono 100mila (su 400mila stranieri).
Istruzione e lavoro. Da un campione lombardo emerge che molti musulmani sono laureati o, al contrario, non hanno alcun titolo di studio. Un dato che differisce dagli altri immigrati, che invece hanno una formazione “media”. Nelle scuole italiane (fonte: Ministero dell’istruzione ) studiano 802.844 alunni stranieri di tutte le nazionalità (a.s.2013/2014), tra cui albanesi (107.847) e marocchini (101.176) costituiscono i gruppi più numerosi subito dopo i romeni. Sull’inserimento lavorativo si possono fornire indicazioni di massima solo sulla base delle nazionalità (fonte: Quinto rapporto annuale. I migranti nel mercato del lavoro in Italia ): nell’industria lavorano molti pakistani (43,2%), marocchini (29,8%); gli egiziani si distribuiscono principalmente nelle costruzioni (14,7%), in attività immobiliari (17,7%), in alberghi e ristoranti (29,8%). Nel comparto edile vi sono molti albanesi (28,3%) e tunisini (22,8%). Tanti tunisini (47%) anche tra le assunzioni del 2014 come collaboratori domestici e professioni assimilate. La quasi totalità dei lavoratori stranieri – di tutte le religioni – svolge un lavoro alle dipendenze, e più del 70% è impiegato con la qualifica di operaio. C’è però una crescente tendenza al lavoro autonomo con piccole attività commerciali e artigianali.
Luoghi di culto. In Italia (fonte: Idos) vi sono solo 4 moschee ufficialmente riconosciute – tra cui la Grande Moschea di Roma attiva dal ’95 nel quartiere di Monte Antenne, la più grande in Europa -, su un totale di 164 che però hanno sede in garage, cantine, ex magazzini. I luoghi di culto dove si recita il Corano sono 222, circa 400 le associazioni culturali islamiche. Tra le più note l’Ucoii, il Coreis, l’Unione islamica in Occidente, la Lega musulmana mondiale-Italia, il Centro islamico culturale d’Italia di Roma. Secondo l’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità della Lombardia tra i giovani musulmani c’è un’incidenza quadrupla di frequentazione di associazioni religiose tra i musulmani (12%) rispetto a quella dei cattolici (3%).
Come si sentono i giovani musulmani? Sempre secondo l’Osservatorio lombardo, che ha realizzato una ricerca su un campione di giovani 15-25 enni d’origine straniera (di tutte le religioni) senza figli né partner, la maggioranza vive una “doppia appartenenza” (nel 36% dei casi), il 28% si sente “italiano”, il 19% “cittadino del mondo” e “straniero” nel 17% dei casi. In Lombardia si stimano 135mila musulmani tra i 16 e i 30 anni, il 61% sono maschi e il 10% nati in Italia (dati al 1° luglio 2014). Delicata è la situazione delle giovani donne musulmane nel vivere una nuova identità in una società con stili di vita diversi, con dibattiti sull’uso o meno del velo e degli abiti tradizionali. Sono spesso divise tra “il dovere di rompere i legami con i parenti e la loro cultura – spiega Franco Pittau, del Centro studi e ricerche Idos – e il rischio di venire ghettizzate se si allontanano dai loro parenti”.
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