Attribuzione di spazi pubblici
Le moschee a Milano? Segno che i musulmani si stanno organizzando
Silvio Ferrari è professore di diritto comparato delle religioni e di diritto canonico all'Università di Milano: "Procedere con i bandi comunali ha il grande vantaggio della trasparenza". Favoriti i controlli sulle organizzazioni vincitrici e sui finanziamenti. In ogni caso cresce il tasso di responsabilità. Difficile che questo sia il preludio alla nascita di un "partito islamico" in Italia.
Procedura via bando per l’assegnazione di spazi pubblici a luoghi di culto e a stravincere sono organizzazioni e centri islamici. Succede a Milano. È stata un’autentica sorpresa all’apertura delle buste, contenenti le offerte economiche con i rialzi sul canone minimo di affitto: a vincere per l’area del Palasharp è l’Associazione islamica di Milano, raggruppamento che fa capo al Caim, con un punteggio finale del 77,5 (rialzo del 200%). Per il lotto di via Esterle (ex bagni pubblici) si è classificata l’associazione “Bangladesh Cultural and Welfare”, anche questa facente capo al Caim, con un punteggio finale di 69,5. L’ultima area invece, quella di Rogoredo, è finita alla Chiesa evangelica ma solo perché una legge comunale impedisce la presenza di più di due moschee su uno stesso territorio. Silvio Ferrari è professore di diritto comparato delle religioni e di diritto canonico all’Università di Milano. Da anni segue l’evolversi del mondo musulmano in Italia.
Professore, si procede via bandi. Il caso milanese è un pasticciaccio?
“Io tutto sommato non ho un’impressione troppo negativa. La scelta del Consiglio comunale e della Giunta di procedere via bandi offre vantaggi e svantaggi. Il vantaggio più grande è la trasparenza. Nel senso che c’è un bando, ci sono delle condizioni e tutti concorrono. Non è l’amministrazione comunale a scegliere a favore di un gruppo piuttosto che di un altro. Trasparenza significa anche che si stabilisce un sistema di controlli da parte della Prefettura sulle organizzazioni vincitrici e sui finanziamenti. Lo svantaggio è che si sia dato un eccessivo peso a chi era disposto a pagare e offrire di più. Ci sono ben altri elementi da prendere in considerazione, come per esempio il fatto che una comunità sia insediata nelle vicinanze del luogo dove si vuole costruire un luogo di culto”.
Quanto pesa la mancanza di una normativa nazionale sulle moschee in Italia?
“Intanto bisogna chiarire che una normativa nazionale sulle moschee in Italia non è proponibile. Nel senso che non si può fare una legge che riguarda solo le moschee perché urterebbe contro l’art. 8 della Costituzione. Si può fare una legge sulla libertà religiosa o sulle associazioni religiose che tratti anche della questione dei luoghi di culto. E questo manca. E sta alla radice del problema, lasciando un vuoto che viene riempito dalle Regioni oppure dai Comuni in maniera difforme”.
Quindi in mancanza di una normativa nazionale, vince il più forte e chi ha più capacità di advocacy?
“È connaturato nel gioco democratico. Nel senso che vince l’organizzazione che ha un maggior numero di fedeli, che ha maggiori disponibilità finanziarie, che è organizzata e strutturata e, quindi, in grado di concorrere meglio a questa procedura rispetto ad una più piccola, disorganizzata e con pochi soldi. Se non si segue la strada del bando, l’altra è quella che vede le autorità comunali assegnare i luoghi di culto alle Confessioni religiose ma ciò presuppone molta discrezionalità, con il rischio di subordinare a un giudizio politico una questione che è invece di diritto di libertà religiosa”.
Come sta cambiando il mondo musulmano a partire dal caso milanese?
“Si sta organizzando. L’esempio milanese è quello di un mondo musulmano che si sta dando delle organizzazioni capaci d’interloquire con le autorità locali. Personalmente credo che si tratti di un processo positivo. Abbiamo bisogno di musulmani organizzati che possano fare da controparte alle autorità statali e dialogare. Credo poi che una comunità organizzata possa anche controllare meglio quelli che sono o possono diventare i cani sciolti al suo interno”.
Quanto è plausibile l’organizzazione di un partito musulmano italiano?
“A tempi brevi, non è plausibile. Non vedo reali possibilità anche perché non vedo la base elettorale. I musulmani che hanno diritto di voto sono pochi. Quando noi parliamo di musulmani, parliamo di immigrati ma gli immigrati non sono cittadini italiani nella loro grande maggioranza. Quindi manca la base di voti per un partito islamico”.
Ciò che lei vede come positivo, e cioè l’organizzazione del mondo musulmano, a tanti in realtà mette molta paura. Come rispondere ai timori?
“Ci troviamo di fronte a una questione che richiede dialogo e responsabilità. Da un lato, bisogna prendere atto che l’Islam in Italia non è soltanto un problema di sicurezza. C’è un problema di sicurezza, ma è solo una parte della questione Islam. La verità è che c’è una grande quantità di persone che sono qui, che resteranno qui e con le quali un dialogo va stabilito. Dall’altra parte, il fatto di essere qui implica per le comunità musulmane l’assunzione di responsabilità. La prima tra tutte è quella di sentirsi responsabile della società in cui si vive. Significa molto concretamente che non si può pensare, per esempio, di non insegnare l’italiano ai figli, di costruire ghetti musulmani che non abbiano un’apertura alle altre realtà sociali non musulmane. Dando per scontato il rispetto della legalità, occorre chiedere un passo in più e il passo in più è sentirsi pienamente parte della società in cui ora si vive. Cioè integrati”.
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