Sarà un autunno caldo per le banche
Nuovi "matrimoni" solo per efficienza, sviluppo e profitti.
Sarà un autunno caldo per le banche italiane, in particolare per quelle Popolari che il Governo ha costretto a cambiare natura: meglio società di capitali, anche per fare più chiarezza in una “governance” non sempre trasparente. Una, la più antica (il Montepaschi di Siena), ha ridotto la presenza degli enti locali - e della politica - nell’azionariato ai minimi termini, facendo spazio ad investitori privati che ne hanno cambiato l’anima e, forse, destino: fino a poco tempo fa Mps pareva destinata ad essere o boccone per appetiti altrui, o addirittura nazionalizzata per salvarla. Dentro il suo azionariato c’è pure lo Stato italiano, in posizione minoritaria: se Montepaschi decollerà, l’Italia avrà preso due piccioni con una fava, una banca risanata e buon ritorno nell’investimento.
Le grandi Popolari del Nord si stanno studiando, e stanno studiando. Si stanno annusando per capire se c’è spazio per qualche aggregazione, superando l’eterno, principale ostacolo che è: chi comanda alla fine. Ma, soprattutto, tutte le banche di medio livello (Unicredit e Intesa San Paolo giocano nella Champions delle banche mondiali) stanno cercando di capire quale può essere il loro futuro, strette tra l’occhiuta osservanza della Bce - che non chiude una palpebra di fronte a niente - e un modello di business in radicale cambiamento.
Solo dieci anni fa l’ossessione di tutte le banche era crescere dimensionalmente e territorialmente. Ecco quindi che si acquistavano pacchi di sportelli, che si cercavano province in cui espandersi, piccoli istituti da incorporare… Chi l’ha fatto - quasi tutti - ha pagato cara la scelta. Anzitutto la crisi economica ha sconquassato i conti di tutti. E chi si era fortemente indebitato per fare onerosi acquisti, s’è trovato con i debiti da saldare e con prede fortemente deprezzate.
Poi la marea di crediti “inesigibili” (insomma, addio) ha sommerso il sistema bancario italiano fino ad oggi, e solo grazie a poderose svalutazioni e ad altrettanto poderose iniezioni di capitali da parte degli azionisti non stiamo qui a parlare del defunto sistema bancario italiano.
Infine l’arrivo del nuovo, nelle vesti di internet. L’home banking, debuttato una decina d’anni fa, si è poderosamente imposto ovunque. Taglia ovviamente i costi e quindi taglia pure gli sportelli, che servono sempre a meno. Così come il personale dipendente: e da anni si continua a “rottamare” lavoratori il cui compito, internet ha reso obsoleto.
Quindi le strategie del futuro prossimo devono essere assolutamente differenti rispetto a quelle dell’altro ieri. Se matrimonio ci deve essere, l’amore che legherà le due banche sarà originato dalla migliore convenienza per entrambe. Niente “potere”, niente politica, niente “logica di espansione” o manie di grandezza fini a se stesse. Insomma, le cosiddette sinergie e non solo di costo, perché non si fa banca, non si fa alcuna attività imprenditoriale solo tagliando i costi, in particolare quello del personale. La cosa più interessante è far crescere i ricavi, generare nuove fonti di entrata, sviluppare i business esistenti e avventurarsi in quelli finora preclusi.
Un esempio? Se l’Italia sta facendo soldi con le esportazioni, se migliaia di aziende lavorano o si preparano a farlo con clienti esteri, o all’estero, una banca degna di questo nome deve saper accompagnare questi capitani di ventura ovunque si trovino, con strumenti finanziari adatti, con personale ben istruito, con agganci nelle zone del mondo dove si lavora di più. Altrimenti ci penserà la concorrenza straniera o quella italiana già attrezzata.
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