Tutti migranti nella squadra di calcio che vince e convince
I quindici ragazzi che la compongono sono tutti migranti, rifugiati politici e richiedenti asilo giunti in Italia con i barconi della morte. Sono la testimonianza concreta di come lo sport rappresenti uno dei migliori strumenti di integrazione contro ogni tipo di discriminazione. Il merito dell'iniziativa va diviso equamente tra l’associazione sportiva dilettantistica “Funiculà” e l’impresa sociale “Less”. La scommessa vinta dall'allenatore Edoardo Tomei.
Da qualche tempo a Napoli ha fatto il suo esordio una squadra di calcio molto particolare. I quindici ragazzi che la compongono sono infatti tutti migranti, rifugiati politici e richiedenti asilo e sono la testimonianza di come lo sport rappresenti uno dei migliori strumenti di integrazione contro ogni tipo di discriminazione. Il merito dell’iniziativa va diviso equamente tra l’associazione sportiva dilettantistica “Funiculà” e l’impresa sociale “Less”, che hanno avviato un protocollo d’intesa per dare vita a questa atipica iniziativa. Da oltre dieci anni, proprio l’impresa “Less” è l’ente gestore del progetto Iara (Integrazione e accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo) del comune di Napoli, un programma di tutela e protezione rivolto ai migranti che è inserito nella rete nazionale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar). I ragazzi che compongono la squadra sono per la maggior parte provenienti dall’Africa e vivono nei centri di accoglienza di Napoli e provincia. C’è Bobb, che arriva dal Gambia, e che gioca sulla fascia insieme a Dawda del Senegal. E poi ci sono anche Eric, il veterano della squadra e Mamadou, che ha solo 19 anni, ma è già un fenomeno. Tutti loro sono arrivati in Italia con i barconi, quelle carrette del mare tristemente note per la facilità con cui affondano e si portano via tutto. Non è un caso, allora, che alla squadra sia stato dato il nome di “Al di là del mare”, quasi a sottolineare che loro, le difficoltà del mare, sono riusciti a lasciarsele alle spalle.
“Sono dei ragazzi straordinari ed è un vero piacere allenarli – racconta il loro allenatore Edoardo Tomei. Oltre a essere il loro tecnico, Edoardo è anche il presidente dell’associazione Funicolà, l’ente no profit che a Napoli organizza eventi sportivi e culturali con l’obiettivo di combattere pregiudizi e discriminazioni. “Volevamo restituire a questi ragazzi un po’ di dignità e di svago, educandoli alla convivenza civile e al rispetto degli altri – prosegue Tomei -. Il calcio ci è sembrato la risposta migliore”. Da febbraio, i ragazzi si allenano due volte a settimana sul campo sportivo di Capodimonte ma gli allenamenti e le partite non sono finalizzati soltanto all’aspetto sportivo. “Abbiamo voluto concentrarci soprattutto sulle loro difficoltà a relazionarsi – sottolinea l’allenatore – visto che molti di loro hanno alle spalle un passato straziante, fatto di povertà e di viaggi disperati in cerca di un futuro migliore”. Ecco quindi che il calcio diventa il modo migliore per non pensare al passato, l’occasione per dimenticare per qualche ora le difficoltà e i problemi della vita. “Giocare a pallone non consente loro solo di svagarsi – sottolinea Daniela Fiore, responsabile dell’area lavoro e dell’integrazione dell’associazione Less – ma rappresenta per questi ragazzi un’opportunità di integrarsi all’interno della comunità. Purtroppo, appena arrivano in Italia, molti di loro tendono a chiudersi e a isolarsi. Invece così hanno l’occasione di aprirsi, vivendo le giornate in maniera spensierata. E, seppur per qualche ora, possono rivivere quella normalità che scandiva la vita nel loro paese”.
Tra gli obiettivi del progetto, infatti, non c’è solo quello di formare una squadra di calcio che possa rappresentare i colori della solidarietà e della convivenza. Ma c’è anche quello di dare a questi ragazzi un’opportunità d’inserimento lavorativo e sociale, accompagnandoli anche nelle ore lontane dagli allenamenti. “Al mattino – spiega ancora Daniela Fiore – alcuni di loro vanno a scuola di italiano, poi seguono percorsi differenti a seconda delle loro esigenze. C’è chi fa il corso di informatica, chi quello di meccanica, chi lavora sull’inglese, chi studia per diventare un cuoco, e poi c’è chi è impegnato in attività di auto impresa”. Ognuno di loro, insomma, segue un percorso in base alle esperienze passate e alle proprie passioni, tentando di trovare insieme alla serenità anche un lavoro. Frammenti di una vita che gli apparteneva e che adesso possono finalmente ricomporsi. Intanto, però, i ragazzi cercano di vincere le partite con la loro squadra di calcio e a quanto pare, hanno un futuro promettente. La “Al di là del mare” ha infatti esordito un paio di settimane fa nel quadrangolare contro l’emarginazione e contro ogni forma di violenza e discriminazione che si è giocato a Napoli. Hanno sfidato i Gaycs Pocho, una squadra composta da calciatori omosessuali, i giovani del quartiere Stella e la Planding Place, un’altra compagine di migranti. Per la cronaca, il torneo l’hanno vinto loro. Ma mai come stavolta si può dire che hanno vinto tutti.
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