Uganda, il lavoro di Regina Pacis tra i profughi del Sud
Nei campi di rifugiati in Uganda vivono oggi decine di migliaia di persone. Sono scappate dal Sud Sudan messo a fuoco e fiamme dagli scontri armati. E capita che, nello stesso campo, possano ritrovarsi persone appartenenti a tribù diverse, che di là del confine si combattono aspramente e di qua dal confine cercano di sopravvivere. E di conoscersi. Ad aiutarli nel cammino del dialogo e della convivenza pacifica c’è una radio, Radio Pacis, diretta da padre Tonino Pasolini, missionario comboniano originario di Cesena. Nei giorni scorsi p. Pasolini è stato in visita all’Ufficio missionario della diocesi di Bolzano-Bressanone che lo sostiene con un progetto di cooperazione allo sviluppo.
Per noi la radio è diventata quasi un sottofondo. L’ascoltiamo in macchina, per far passare il tempo nei nostri trasferimenti, o per distoglierci dai “cattivi pensieri” quando ci troviamo in coda e siamo in ritardo. O ancora quando siamo a casa, alle prese con le pulizie e le faccende di ogni giorno. Un sottofondo che serve a vincere la convivenza (non sempre facile) con il silenzio.
Ma in altre zone del mondo, la radio è uno strumento prezioso per favorire il dialogo e la convivenza pacifica tra popolazioni.
È il caso di Radio Pacis, l’emittente diocesana dell’Uganda, che dal 2004 ad oggi è diventata un vero e proprio punto di riferimento nel Paese africano. E non solo per i cristiani. Anche per la popolazione musulmana.
A raccontarci il progetto che Radio Pacis sta portando avanti nei campi profughi ugandesi, dove da qualche mese vivono decine di migliaia di persone scappate dal Sud Sudan, messo a fuoco e fiamme dal conflitto armato, è il direttore dell’emittente, p. Tonino Pasolini, comboniano originario di Cesena, che opera in Uganda dal 1966. “Il progetto che abbiamo avviato nei campi profughi è quello delle Community voices – spiega -. Ogni settimana percorriamo centinaia di chilometri e raggiungiamo i campi profughi dove registriamo delle trasmissioni che poi mandiamo in onda sulle nostre tre frequenze. Si tratta di vere e proprie tavole rotonde, in cui invitiamo le persone del campo a dialogare e a dire il proprio pensiero al microfono. Dopo una prima reticenza iniziale, la gente prende dimestichezza con il mezzo radiofonico e inizia a parlare”. Nasce così il dialogo. Non solo tra gli uomini, ma anche tra le donne, che generalmente sono le più restie ad esprimersi. “Le registrazioni le portiamo quindi nella nostra sede centrale e la mandiamo in onda (dopo averla opportunamente adattate ai tempi radiofonici) durante la settimana. Nelle diverse lingue e nei diversi dialetti. Perché anche la lingua è importante – prosegue p. Pasolini -. A fare questo lavoro, che richiede grandi energie e grande professionalità, ci sono insieme a me sempre un gruppo di giornalisti e un tecnico, che predispongono le attrezzature sul campo”.
La trasmissione è preceduta da un incontro con i responsabili del campo profughi, che contattano a loro volta i portavoce dei vari “villaggi” che si creano nei campi (che hanno grandi dimensioni) e che poi invitano la gente a partecipare.
Di fronte a un microfono, sollecitati a confrontarsi sui vari temi e problemi del loro quotidiano, le persone imparano a dialogare. E lo fanno senza violenza. Anche quando a dialogare o a raccontarsi ci sono persone di tribù diverse, che di là dal confine sono “nemiche” e di qua da esso si ritrovano accomunate nella lotta per la sopravvivenza quotidiana.
“La gente chiede riconciliazione e il nostro impegno, come radio diocesana è quello di educarli a vivere da riconciliati nei campi, anche per il futuro – spiega don Pasolini -. Dare un po’ di speranza, questo è quello che cerchiamo di fare. È gente scoraggiata: facce tristi, nessuno voleva andare via dalle proprie case, avevano le proprie case. Non sono venuti in Uganda per cercare un futuro migliore. Lì, in Sud Sudan, è questione di vita o morte”. Chiedono loro come si trovano nei campi, quali sono i loro desideri, i loro problemi.
Il giorno dopo il talk show, i giornalisti di Radio Pacis contattano i responsabili degli uffici governativi e delle organizzazioni, e proseguono con loro il confronto e il dialogo. “E sono loro per primi a ringraziarci, perché permettiamo loro, attraverso la radio, di conoscere meglio i bisogni di questa gente”, commenta don Pasolini.
A Bolzano in visita all’Ufficio missionario diocesano, con cui ha avviato un progetto di cooperazione allo sviluppo (uno è stato avviato anche con l’Ufficio cooperazione della Provincia di Bolzano), p. Pasolini non nasconde la fatica e le tante energie che questo servizio richiede. “Ma è un’opera importante, non solo dal punto di vista comunicativo, ma anche pastorale – aggiunge -. Questo progetto lo abbiamo avviato nei mesi scorsi anche nei vari villaggi dell’Uganda e ha da subito dato ottimi risultati. E non parlo solo di audience”.
A p. Pasolini l’audience importa, sì, ma molto meno che qui da noi. Il dialogo viene prima di tutto. Ed è il dialogo stesso che poi porta frutti. Anche da un punto di vista economico. Oggi Radio Pacis, tra giornalisti, tecnici e uomini impegnati in varie mansioni, dà lavoro a cento persone. E si finanzia per il 70% con la pubblicità. Perché anche il mondo economico sa bene, che la buona comunicazione porta frutto.
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