Un terzo settore più maturo
Dal modello “redistributivo” a quello “produttivo” autofinanziato.
In questo tempo si sono moltiplicate le realtà che promuovono solidarietà e alimentano legami sociali. Se negli anni Novanta del secolo scorso abbiamo compreso che il Welfare State è utile ma non sufficiente a rispondere ai bisogni dei cittadini, ora – vent’anni dopo – verifichiamo che le risorse per sostenere lo Stato sociale non sono abbastanza e rischiamo di non coprire le necessità di tutti, soprattutto dei poveri e dei più deboli.
Le forme di sostegno si sono moltiplicate e stiamo passando a una Welfare Society, dove la solidarietà si è fortemente declinata con il principio di sussidiarietà. Dentro questo contesto il Terzo settore gioca un ruolo determinante. Oggi però ha bisogno di una nuova maturazione per fare un salto di qualità e diventare adulto. Per questo il Terzo settore ha due necessità: la prima è quella di svincolarsi da un modello “redistributivo”, che implica un ruolo secondario rispetto allo Stato; la seconda, strettamente connessa alla precedente, è di mostrarsi “produttivo” così capace di attrarre fondi per autofinanziarsi.
In Parlamento sta prendendo forma una riforma del Terzo settore, giudicata in modo positivo da molti esperti, perché va nella direzione di renderlo un soggetto di pari dignità rispetto agli altri che agiscono nel mercato: lo Stato e il privato; va quindi verso la direzione di un’economia civile, quella promossa dalla “Caritas in veritate” di Benedetto XVI come strumento per limitare le logiche pervasive della competizione a tutti i costi.
C’è innanzitutto un salto culturale da affrontare. Il terzo settore è sempre stato accostato alla società civile organizzata e all’ambito del pre-politico, in quanto esperienza che educa e incentiva al bene comune. Oggi è richiesto un riconoscimento di una soggettività economica e una capacità di incidere nel mercato per trasformarlo, in modo da inserirvi le dinamiche di relazionalità e di gratuità che ne fondano la base di fiducia. C’è anche un pericolo essere pervasi dalla logica del profitto.
Poi per avviare questo processo al Terzo settore è richiesta una nuova capacità strategica: sapersi raccontare per mostrare le azioni e valutarne l’impatto. I vari soggetti impegnati nel campo dovranno sempre più evidenziare che la loro azione va oltre i confini dell’obiettivo specifico e agisce sulla società in generale; essi dovranno prendere coscienza che innescano cambiamenti sociali e imprimono una direzione attraverso le leve che vengono usate per spostare gli equilibri. Una cooperativa che lavora con i disabili, non aiuta solamente quei soggetti, ma sostiene le loro famiglie, porta nuovi tipi di occupazione su un territorio, inserisce nel tessuto sociale nuove consapevolezze e dinamiche di solidarietà.
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