A Firenze è tempo di uomo nuovo
A pochi girni dal Convegno ecclesiale nazionale riprendiamo in mano la traccia che guiderà i delegati diocesani nei lavori.
La meraviglia inaudita non è aver conosciuto un Dio tanto potente e grande verso cui elevarci, tanto buono e misericordioso per cui consolarci, quanto un Dio la cui potenza e bontà l’hanno condotto a svuotarsi per sposare l’umanità”. È uno dei passaggi più belli della Traccia preparatoria al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, che si terrà dal 9 al 13 settembre prossimi. “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, è il tema che accompagnerà i lavori dei delegati, secondo cinque verbi: uscire, annunciare, educare, abitare, trasfigurare.
Essi “si intrecciano tra loro e percorrono trasversalmente gli ambienti che quotidianamente abitiamo” – si legge nella traccia che, come d’accenno iniziale, prepara un convegno nazionale che intende abbracciare l’uomo a partire dall’incarnazione di Gesù. Così, “Kenosis, lo svuotamento di sé, l’uscita da sé, è il primo paradigma di un umanesimo nuovo e ‘altro’ e la via paradossale di un’autentica libertà, capace di costruire fraternità”. Quello che urge, alla Chiesa italiana, è l’annuncio antico e sempre nuovo della Parola di salvezza, tanto che a un certo punto la Traccia si chiede a che punto stia l’impegno per un rinnovato nuovo primo annuncio a coloro che potrebbero aver smarrito i fondamenti cristologici ed escatologici della fede cristiana. Ecco allora alcuni degl’impegni per un nuovo umanesimo in Gesù Cristo: “dedicarsi al legame intimo con il Padre nella preghiera; non disperdere il primato dell’annuncio del regno; confermare con autorità questo annuncio, grazie alla cura delle persone (il perdono, la guarigione, la rivelazione del volto misericordioso del Padre); non lasciarsi imprigionare dall’ordinarietà, ma tener desta l’urgenza della missione. Implicitamente questo stile disegna un percorso di umanità nuova, “insaporita” dall’unzione dello Spirito. Le operazioni della vita quotidiana di Gesù sono richiamate da papa Francesco nella Evangelii gaudium: una Chiesa in uscita, che abita il quotidiano delle persone e, grazie allo stile povero e solidale, rinnova la storia di ciascuno, ridà speranza e riapre le nostre vite morte alla gioia della resurrezione. Una Chiesa gioiosa, perché sempre piena di meraviglia nello scoprire che la vita quotidiana è visitata dalla misericordia di Dio”.
In realtà, la traccia, dopo l’introduzione di monsignor Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino e presidente del Comitato preparatorio, descrive subito quattro tipi di umanesimo, che è possibile sintetizzare così:
- Umanesimo in ascolto. “Ascoltare l’umano significa, dunque, vedere la bellezza di ciò che c’è, nella speranza di ciò che ancora può venire, consapevoli che si può solo ricevere”.
- Umanesimo concreto. “Concretezza” significa parlare con la vita, trovando la sintesi dinamica tra verità e vissuto, seguendo il cammino tracciato da Gesù.
- Umanesimo plurale integrale. “Umanesimo è un termine che si declina al plurale, e l’umanesimo nuovo in Cristo è un umanesimo sfaccettato e ricco di sfumature – «prismatico», com’è definito in uno dei contributi pervenuti – dove solo dall’insieme dei volti concreti, di bambini e anziani, di persone serene o sofferenti, di cittadini italiani e d’immigrati venuti da lontano, emerge la bellezza del volto di Gesù.
- Umanesimo trascendente. “Umanesimo trascendente” non è un ossimoro, ma riconosce – come ha spiegato Romano Guardini – che le coordinate esistenziali, il donde e il verso entro cui l’umano si sviluppa pienamente, corrispondono a feritoie che permettono di intravvedere un Altro, non relegato semplicemente oltre l’uomo stesso.
Tra le missioni che la Traccia si propone, c’è quella stessa che ha percorso il recente Sinodo sulla famiglia: abbracciare l’uomo dell’oggi. “Le frontiere si possono difendere, cercando di costruire muri. Ma possono essere anche soglie, luoghi d’incontro e dialogo, senza i quali rischiano di trasformarsi in periferie da cui si fugge: abbandonate e dimenticate. Il movimento non è quello della chiusura difensiva, ma dell’uscita. Senza paura di perdere la propria identità, anzi facendone dono ad altri”. La Traccia, in definitiva, esprime certezza che “il Vangelo si diffonde se gli annunciatori si convertono. Perciò mettiamoci in questione in prima persona: verifichiamo la nostra capacità di lasciarci interpellare dall’esser-uomo di Cristo Gesù, facciamo i conti con la nostra distanza da lui, apriamo gli occhi sulle nostre lentezze nel prenderci cura di tutti e in particolare dei «più piccoli» di cui parla il Vangelo (cf. Mt 25,40.45), ridestiamoci dal torpore spirituale che allenta il ritmo del nostro dialogo col Padre, precludendoci così una fondamentale esperienza filiale che sola ci abilita a vivere una nuova fraternità con gli uomini e le donne d’ogni angolo della terra e ad annunciare la bellezza del vangelo”.
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