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Accogliere e integrare tutti: è la ricetta dell'Amoris Laetitia
Presentata in Vaticano l'esortazione post sinodale di papa Francesco con le relazioni del card. Lorenzo Baldisseri e del card. Christoph Schonborn. Fra gli elementi, la valutazione caso per caso delle diverse situazioni e la possibilità, in determinati casi, di amministrare i sacramenti. No all'ideologia gender e la condanna delle forme di violenza quali la pedofilia e l'eutanasia.
“Accompagnare, discernere e integrare”. Sono i tre verbi-chiave dell’“Amoris Laetitiae”, l'esortazione post sinodale di papa Francesco presentata oggi in Vaticano. “La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero”. Su queste basi il pontefice parla dell'importanza dell'inclusione anche di chi vive in situazioni di irregolarità il proprio matrimonio, perché "sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione”.
In sintesi, la ricetta dell’“Amoris Laetitia” è di “integrare tutti”, “aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia immeritata, incondizionata e gratuita”: “Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo”, ammonisce Francesco, che subito dopo precisa: “Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino”. “Accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta”, il primo imperativo. Il punto di partenza è la consapevolezza che “il matrimonio cristiano, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società”. “Altre forme di unione – puntualizza il Papa – contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo”.
Per le situazioni difficili, complesse e “irregolari” delle famiglie la legge da seguire è quella della “gradualità”, già sancita da san Giovanni Paolo II 35 anni fa, nella “Familiaris Consortio”. Il Papa ricorda che la “legge della gradualità” consiste nella consapevolezza che l’essere umano “conosce, ama e realizza il bene morale secondo tappe di crescita”. L’esempio citato dai padri sinodali e fatto proprio da Francesco è quello del matrimonio civile o della “semplice convivenza”, in cui, “quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio”. Ai pastori, quindi, “compete non solo la promozione del matrimonio cristiano, ma che il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà”, per “entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza” e “identificare elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale”. Accogliere e accompagnare “con pazienza e delicatezza”, il consiglio del Papa in queste situazioni, sulla scorta dello stile adottato da Gesù con la samaritana.
“I divorziati che vivono una nuova unione possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale” - scrive ancora papa Francesco. “Una cosa – precisa Francesco – è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe”, o il caso di “quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto” o quello di “coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’eduzione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido”. Altra cosa, invece, “è una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere, o la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari”. “Dev’essere chiaro che questo non è l’ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia”, ammonisce Francesco, che mette in guardia i pastori da “semplici ricette”. I divorziati risposati, in particolare, “devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo”. È la “logica dell’integrazione”, per il Papa, “la chiave del loro accompagnamento pastorale”: “Sono battezzati, sono fratelli e sorelle”, “non devono sentirsi scomunicati”, e la loro partecipazione “può esprimersi in diversi servizi ecclesiali”, attraverso la capacità di “discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate”. “Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete – l’affermazione di sintesi del Papa sull’impostazione di fondo di Amoris Laetitia – è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi”.
“Credendo che tutto sia bianco e nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio”. È l’ammonimento del Papa nel documento, in cui non si nomina mai esplicitamente il tema dell’accesso alla comunione per i divorziati risposati ma – in una nota dell’ottavo capitolo -, a proposito dell’“aiuto della Chiesa”, si fa presente che “in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti”. “È possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa”, si legge al numero 305 del documento, in cui s’invitano i pastori al “discernimento pratico” caso per caso. “Un pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni irregolari, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone”, il monito del Papa: “È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”. Di qui la necessità di riflettere “su condizionamenti e circostanze attenuanti”, e sul rapporto tra “le norme e il discernimento”. “Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà”, la raccomandazione pastorale di Francesco sulla scorta dell’Evangelii gaudium.
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