Al via il Congresso eucaristico. Card. Bagnasco: la carità non ha muscoli da esibire, ma anfore da portare
Riflettori accesi su Genova, dove i partecipanti al 26° Congresso eucaristico nazionale riflettono su “L’Eucaristia sorgente della missione. Nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro”. La Messa di apertura presieduta dal cardinale Bagnasc, Arcivescovo di Genova e inviato del Papa. "Intendiamo annunciare che Dio non è lontano". Additato il compito della missione, l'invito a portare la "luce" dell'Eucarestia ai "fratelli e alle sorelle di questo amato Paese. Il Sacramento come prima risposta alla richiesta di senso dell'uomo. Per il porporato, "serve una serena ansia apostolica".
“Vorremmo che l’Italia si accorgesse che sta accadendo qualcosa nel suo grembo, qualcosa di vero e di bello che la riguarda da vicino”. È un passaggio dell’omelia del cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova, presidente della Cei e inviato speciale del Papa, nella Messa che ha aperto a Genova, in piazza Matteotti, il 26° Congresso eucaristico nazionale, sul tema: “L’Eucaristia sorgente della missione. Nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro”. “Il nostro pensiero corre al Santo Padre Francesco”, ha aggiunto subito dopo: “Egli è con noi con quell’affetto caldo e paterno che tutto il mondo conosce e ricambia. Lo ringrazio per aver voluto nominare me come suo inviato speciale per questo momento tanto significativo. A lui rinnoviamo il nostro affetto filiale e la nostra pronta comunione”.
“Intendiamo annunciare che Dio non è lontano, che nessuno è orfano in questo angosciato tempo, che non siamo vagabondi senza meta, che la solitudine non è il nostro destino, che l’ingiustizia non è l’ultima parola, perché tutti abbiamo una casa che ci aspetta”. È la missione dei credenti, delineata fin dall’inizio dell’omelia del cardinale Bagnasco, per il quale il Congresso eucaristico nazionale ha come primo obiettivo il portare la “luce” dell’Eucaristia “ai fratelli e alle sorelle di questo amato Paese”. “Sappiamo che – nonostante segni contrari – un anelito, un’attesa, un desiderio di senso plenario batte anche nel cuore del nostro tempo”, la convinzione del presidente della Cei, secondo il quale “non dobbiamo aver paura dell’apparente sordità, ma lasciare che questo battito salga lentamente dall’anima dell’uomo fino a farsi ricerca e scoperta. Portare la luce; non è forse questa la missione della Chiesa? Sì, è questa, come ci sollecita costantemente il Santo Padre”.
Per il porporato, “come credenti, siamo qui per ritrovare una serena ansia apostolica, così da dire ovunque che Gesù è il Signore, senza preferenza di persone e senza equilibrismi di inutile prudenza: “possa dimorare in noi l’ardore del seminatore del Vangelo che sparge a larghe mani senza calcoli: lo fa – potremmo dire – perfino senza criterio, rischiando di perdere la semente sulla strada, tra le pietre e tra i rovi”. La Chiesa “non è un’organizzazione, ma il Corpo di Cristo”, ha puntualizzato il presidente della Cei, e “il nostro compito non è quello di scegliere i terreni, i luoghi, le persone, le categorie: dobbiamo, piuttosto, avere il tratto largo e abbondante del braccio, e soprattutto del cuore! I criteri della missionarietà, come di ogni pastorale, sono infatti quelli delle persone”. “Il gesto instancabile del seminatore non è solo generoso – ha proseguito -: è anche sereno e pieno di fiducia”, perché “il frutto del seme non dipende da noi, ma dal seme stesso”. “Sappiamo che la semente è buona e feconda in se stessa, e questo ci rassicura”, le parole del cardinale: “Sappiamo che questo seme è la parola di Cristo: noi siamo i piccoli operai del Vangelo, gli umili braccianti della vigna, mentre Lui è il Seme e il Seminatore, colui grazie al quale il raccolto matura, quindi non secondo i nostri tempi, ma con quelli del Signore. Questa fiducia ci consente, dopo aver faticato tutto il giorno, di poter anche andare a riposare sereni: domattina usciremo di nuovo da casa, dalle nostre sicurezze, e di nuovo andremo incontro alla novità dei terreni, ad imprevisti lieti o dolorosi. Ma il nostro cuore starà nella pace, sapendo che il Signore è fedele”.
Tra gli impegni suggeriti dal card. Bagnasco, quello di “annunciare il Vangelo", che "è vivere Cristo, e partecipare alla missione è vivere la Chiesa”, perché “quando si vive l’incontro con Gesù – così come si vive un rapporto d’amore – l’orizzonte cambia, il cielo è diverso, la vita prende spessore". “Essere figli e fratelli è la Chiesa”. Nella parte finale della sua omelia della Messa di apertura del Congresso eucaristico nazionale, il cardinale Bagnasco ha tracciato un identikit della comunità ecclesiale partendo dalla Croce. “La Chiesa nasce dal Crocifisso, dal suo sangue versato e dal suo corpo dato”, ha spiegato: “nasce dal suo abbandono tra le braccia del Padre. E l’Eucaristia ci porta, a nostra volta, tra le braccia di Dio, rinnovando la gioia di essere figli di Colui che ha tanto amato gli uomini da mandare il suo Figlio per noi”. In questa prospettiva, “celebrare i divini misteri è per la Chiesa tornare alla fonte della grazia, al grembo della vita secondo lo Spirito”. “Lontani da questa fonte – ha ammonito il presidente della Cei – la buona volontà si prosciuga, la perseveranza si allenta, l’entusiasmo degli inizi perde smalto, le delusioni e la stanchezza hanno il sopravvento: anche l’amore ha le sue fatiche!”. “Se vivere l’Eucaristia è per noi un tornare alla sorgente della bellezza cristiana, allora l’Eucaristia è l’acqua sorgiva che suscita l’annuncio del Vangelo, perché il mondo sia redento e si sveli a tutti il segreto della gioia”, l’invito: “negarci alla missione e alla carità significherebbe negarci all’Eucaristia; sarebbe un tradire l’Eucaristia stessa”.
“Affidarci al Sacramento ci fa creature nuove, capaci non solo di fare cose grandi, ma di vivere in modo grande le piccole cose di ogni giorno; di fare del poco che siamo un dono per gli altri” - ha detto il card. Bagnasco. “La carità – ha puntualizzato – non ha muscoli da esibire, ma piccole anfore da portare, anfore comunque capaci di dissetare la sete dei poveri nel corpo e nello spirito”. “Va in questa direzione – ha osservato il presidente della Cei – la colletta che domenica prossima viene fatta in tutte le nostre diocesi: un segno di solidale condivisione che si aggiunge alla preghiera per quanti sono stati duramente colpiti dal terremoto nel centro Italia”.
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