Card. Parolin: "col fondamentalismo non credo sia possibile il dialogo"
Il Segretario di Stato a tutto campo in occasione dei 50 anni della ''Nostra Aetate'': ''Tante volte, oggi, la violenza è giustificata in nome di Dio e quindi i leader religiosi hanno un grande dovere e una grande responsabilità nell'affermare che questo non è vero e nel richiamare gli appartenenti alle varie religioni ad essere costruttori di pace''. Sul viaggio in Africa: ''I pericoli ci sono, ma il Papa non ha paura''. Proseguono i contatti con Pechino.
“La pace è possibile, la pace è doverosa!”. È partito da questo “assioma molto semplice, che la Chiesa ha sempre insegnato” e “non si stanca di ripetere”, il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, intervenendo a Roma al convegno internazionale promosso per il 50° anniversario di “Nostra Aetate”, la dichiarazione conciliare sulle relazioni della Chiesa Cattolica con le religioni non cristiane. Il suo intervento dal titolo “educare alla pace” ha concluso una tre giorni di lavoro e confronto intenso tra rappresentanti delle diverse religioni. I leader religiosi sono stati accolti da Papa Francesco che ha deciso di dedicare l’udienza del mercoledì al dialogo interreligioso. A margine della conferenza, il cardinale accetta volentieri di rispondere alle domande dei giornalisti.
Eminenza, quale bilancio stilare su questi 50 anni dalla dichiarazione conciliare Nostra Aetate?
“Tante cose sono cambiate. Credo che sia stato dato uno slancio forte al dialogo interreligioso ed è stato questo il merito della Nostra Aetate. Evidentemente quando si comincia a dialogare, si incontrano anche le difficoltà ma per lo meno la spinta e la motivazione ci sono e la Chiesa cattolica continua ad andare avanti”.
Ma si può dialogare con i fondamentalismi come l’Isis?
“Non credo che sia possibile. Il dialogo si fa con chi accetta di fare il dialogo e quindi con chi entra in relazione. Evidentemente con chi non è sensibile e rifiuta il dialogo, e quindi con il fondamentalismo, non credo che sia possibile dialogare. Si può offrire di dialogare ma non vedo molte possibilità che si stabilisca un dialogo”.
Quale responsabilità hanno i leader religiosi?
“Hanno una grande responsabilità. Si tratta anche di creare tutte quelle condizioni di vario tipo che possono aiutare la pace, ma in fondo la pace nasce nel cuore dell’uomo. E la pace nasce da un cuore pacificato, in pace con Dio, in pace con il prossimo, in pace con se stesso e in questo senso il contributo della religione è fondamentale. Tante volte, oggi, la violenza è giustificata in nome di Dio e quindi i leader religiosi hanno un grande dovere e una grande responsabilità nell’affermare che questo non è vero e nel richiamare gli appartenenti alle varie religioni ad essere costruttori di pace”.
Lei ha detto che la pace è possibile e doverosa? Ma lo crede davvero?
“La pace è possibile se ci sono persone disposte a costruire la pace. La pace non è automatica. Quando ci sono persone che pur nelle difficoltà di una situazione complicata ma con buona volontà cercano di ricomporre i fili della pace, allora si potrà arrivare alla pace. Ma finché c’è solo volontà di contrapposizione e di sopraffazione, è molto difficile. In questi casi credo che occorra ritrovare questo senso di responsabilità e di volontà comune di pace”.
Papa Francesco andrà in Africa dal 25 al 30 novembre: Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana. C’è preoccupazione per il terrorismo?
“Preoccupazione c’è, ma immagino che se il Papa va, ci sono anche la condizioni perché il Papa possa andare. Quindi questi fenomeni sono sotto controllo, almeno in occasione della visita del Papa. Credo quindi che il fatto che il viaggio si realizzi, significa che ci sono le condizioni minime perché il Papa possa andare e possa rimanere lì il tempo necessario per compiere il programma”.
Ma il Papa non ha paura di andare?
“Non credo. Non credo che il Papa abbia paura. Se ce l’avesse, non ci andrebbe. E invece il Papa va dappertutto”.
Dove lo trova il coraggio?
“Lo trova nella sua fede e nel suo amore per la gente. Anzi, ha voluto che questo viaggio in Africa fosse caratterizzato dalla visita alla Repubblica Centrafricana per la situazione di conflitto in cui si trova questo Paese perché pensa che andare lì e dire una parola ai cristiani e ai cattolici, ma anche a tutte le parti coinvolte, possa essere un contributo grande per la costruzione della pace. Quindi è pronto ad affrontare anche eventuali rischi”.
È vero che recentemente una delegazione del Papa si è recata a Pechino? Che prospettive si stanno aprendo?
“Non è la prima volta. Fa parte di un certo percorso in vista di una normalizzazione dei rapporti. Il solo fatto di poter parlarci, è un passo significativo. Non facciamo pronostici. Tutto quello che si fa, lo si fa in vista di trovare un’intesa e per avere relazioni normali con la Cina e Pechino come le si hanno con la stragrande maggioranza dei paesi del mondo. Il fatto di dialogare è una cosa positiva”.
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