Codex Purpureus, un tesoro prezioso per incarnare l'Amore
Nei giorni scorsi il prezioso evangeliario ha fatto ritorno a Rossano, dove è stato collocato nel nuovo Museo diocesano. Intervista all'Arcivescovo, monsignor Giuseppe Satriano.
Nei giorni scorsi il Codex Purpureus Rossanensis è ritornato a casa. Rossano ha vissuto diversi momenti significativi, con la collocazione del prezioso Evangeliario del VI secolo d.C. nel nuovo Museo diocesano. L'evento, che ha richiamato autorità civili ed ecclesiastiche da tutta la regione, restituisce alla Chiesa rossanese un tesoro prezioso. Ne abbiamo parlato con l'Arcivescovo di Rossano - Cariati, monsignor Giuseppe Satriano.
Eccellenza, cosa significa per la Chiesa rossanese il ritorno del Codex?
Essenzialmente due cose. Innanzitutto il ritorno di “qualcuno” a lungo mancato da casa. Il Codex è da sempre realtà identitaria per il nostro territorio. Esso rimanda a quella storia di cristianesimo vissuta in queste contrade e che tanta ricchezza culturale ha determinato per la vita di questa Chiesa. In secondo luogo il Codex rappresenta un’autentica perla artistica, ricco com’è di bellezza, di arte, di storia.
Il tesoro del Codex in diocesi può essere utile anche per la pastorale?
Certamente. Sia con il mio predecessore, S.E. Mons. Marcianò, che con l’attuale corso pastorale stiamo sottolineando la centralità della Parola per la trasmissione della fede e la qualità della vita delle nostre comunità ecclesiali. Negli scorsi anni, una copia del Codex ha attraversato le comunità favorendo una maggiore conoscenza dell’Evangelario ed anche una rinnovata attenzione alla Parola. Per il prossimo futuro stiamo pensando a qualcosa di analogo.
Nell’Anno della Misericordia, il Codex ci riporta al cuore del Vangelo?
Non vi è dubbio alcuno. Parlare di Codex è parlare anche del messaggio di speranza e di vita nuova racchiuso in esso. Questo elegante testo bizantino corredato di miniature bellissime è l’invito a guardare con rinnovato amore all’opera centrale del creato: l’uomo. Scorrere il Codex è percepire quale grande eco ha avuto nel cuore dell’artista o degli artisti il messaggio salvifico proclamato da Cristo con la sua vita. La misericordia divina traspare dalla bellezza catechetica delle immagini. Riabbracciare il Codex è invito ad incarnare questo Amore che ha segnato la storia della Chiesa e dell’umanità.
Il Codex è un’opera d’arte. Può unire un percorso di fede alla sete di cultura e in questo senso far crescere la regione intera?
Credo che ci venga donata un’opportunità di grazia irripetibile: la bellezza come riscatto per la nostra terra. Non parlo di una bellezza dal sapore estetico ma di una bellezza dai contorni estatici. Voglio dire che contemplare il Codex è invito a riscoprire la propria dignità di terra amante dell’accoglienza, innervata da una cultura millenaria e capace di risorse meravigliose. Si deve avere il coraggio di ripartire da questa riflessione per ritrovare quella responsabilità troppe volte narcotizzata da interessi privati e campanilitici.
Si tratta di un’opera bizantina. Possiamo dire che grazie al Codex la Calabria in qualche modo unisce oriente e occidente cristiano?
Non solo possiamo dirlo ma dobbiamo affermarlo con forza in questo tempo favorevole all’ecumenismo. In un mondo sempre più globalizzato ma al tempo stesso frantumato dobbiamo riscoprire la gioia dell’essere comunità, valorizzando ciò che ci unisce e non ciò che ci divide.
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