Creati 20 nuovi cardinali: un nuovo servizio nella carità
"Quanto più si allarga la responsabilità nel servizio alla Chiesa, tanto più deve allargarsi il cuore, dilatarsi secondo la misura del cuore di Cristo". Francesco ha commentato il brano di San Paolo sulla carità.
“Nella Chiesa ogni presidenza proviene dalla carità, deve esercitarsi nella carità e ha come fine la carità”. Lo ha detto il Papa questa mattina in Basilica Vaticana, in occasione della creazione di 20 nuovi cardinali. Francesco ha ricordato ai cardinali che “anche in questo la Chiesa che è in Roma svolge un ruolo esemplare: come essa presiede nella carità, così ogni Chiesa particolare è chiamata, nel suo ambito, a presiedere nella carità”. Di qui la scelta dell’“inno alla carità” della Prima Lettera di san Paolo ai Corinzi come “la parola-guida per questa celebrazione e per il vostro ministero, in particolare per quelli tra voi che oggi entrano a far parte del Collegio cardinalizio”. “Ci farà bene lasciarci guidare, io per primo e voi con me, dalle parole ispirate dell’apostolo Paolo, in particolare là dove egli elenca le caratteristiche della carità”, ha assicurato Francesco: “Ci aiuti in questo ascolto la nostra Madre Maria”, che “ha dato al mondo Colui che è la via migliore di tutte”. “Gesù, Carità incarnata - l’auspicio del Papa - ci aiuti ad accogliere questa Parola e a camminare sempre su questa Via. Ci aiuti col suo atteggiamento umile e tenero di madre, perché la carità, dono di Dio, cresce dove ci sono umiltà e tenerezza”.
Quanto più si allarga la responsabilità nel servizio alla Chiesa, tanto più deve allargarsi il cuore, dilatarsi secondo la misura del cuore di Cristo”. È l’invito del Papa, rivolto in particolare ai 20 nuovi cardinali, a partire dalle parole di San Paolo, che “ci dice che la carità è magnanima e benevola”. “Magnanimità è, in un certo senso, sinonimo di cattolicità”, ha spiegato Francesco: “È saper amare senza confini, ma nello stesso tempo fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti. Amare ciò che è grande senza trascurare ciò che è piccolo; amare le piccole cose nell’orizzonte delle grandi, perché ‘Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est’”, ha detto il Santo Padre citando una massima di sant’Ignazio. “Saper amare con gesti benevoli”, l’altra indicazione ai porporati, perché “benevolenza è l’intenzione ferma e costante di volere il bene sempre e per tutti, anche per quelli che non ci vogliono bene”.
Neanche “le dignità ecclesiastiche sono immuni” dalla “tentazione” dell’invida, della vanità, dell’orgoglio. È l’ammonimento del Papa ai cardinali, sulla scorta dell’apostolo Paolo, che nell’inno alla carità dice che la carità “non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio”. “Questo è davvero un miracolo della carità”, ha esclamato il Papa, “perché noi esseri umani - tutti, e in ogni età della vita - siamo inclinati all’invidia e all’orgoglio dalla nostra natura ferita dal peccato. E anche le dignità ecclesiastiche non sono immuni da questa tentazione”. “Ma proprio per questo, cari Fratelli - le parole del Santo Padre - può risaltare ancora di più in noi la forza divina della carità, che trasforma il cuore, così che non sei più tu che vivi, ma Cristo vive in te. E Gesù è tutto amore”.
“Chi vive nella carità è de-centrato da sé”. È il ritratto del cardinale offerto ai nuovi porporati dal Papa, che citando san Paolo ha ricordato che la carità “non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse”. “Questi due tratti rivelano che chi vive nella carità è de-centrato da sé”, ha spiegato il Santo Padre, secondo il quale “chi è auto-centrato manca inevitabilmente di rispetto, e spesso non se ne accorge, perché il rispetto è proprio la capacità di tenere conto dell’altro, della sua dignità, della sua condizione, dei suoi bisogni”. “Chi è auto-centrato cerca inevitabilmente il proprio interesse, e gli sembra che questo sia normale, quasi doveroso”, le parole del Papa, che ha avvertito: “Tale ‘interesse’ può anche essere ammantato di nobili rivestimenti, ma sotto sotto è sempre il ‘proprio’ interesse”. La carità, invece, “ti de-centra e ti pone nel vero centro che è solo Cristo. Allora sì, puoi essere una persona rispettosa e attenta al bene degli altri”, ha assicurato il Papa.
“Se pure si può scusare un’arrabbiatura momentanea e subito sbollita, non altrettanto per il rancore. Dio ce ne scampi e liberi!”. Nell’omelia al Concistoro, il Papa ha spiegato che la carità “ci libera dal pericolo di reagire impulsivamente, di dire e fare cose sbagliate, e soprattutto ci libera dal rischio mortale dell’ira trattenuta, ‘covata’ dentro che ti porta a tenere conto dei mali che ricevi”. “No, questo non è accettabile nell’uomo di Chiesa”, le parole del Papa: “Al pastore che vive a contatto con la gente non mancano le occasioni di arrabbiarsi. E forse ancora di più rischiamo di adirarci nei rapporti tra noi confratelli, perché in effetti oi siamo meno scusabili. Anche in questo è la carità, e solo la carità, che ci libera”.
“Chi è chiamato nella Chiesa al servizio del governo deve avere un forte senso della giustizia, così che qualunque ingiustizia gli risulti inaccettabile, anche quella potesse essere vantaggiosa per lui o per la Chiesa”. E l’identikit del cardinale tracciato dal Papa, che nella parte finale dell’omelia ha spiegato come quest’ultimo “si rallegra della verità”, come scrive san Paolo. “Che bella questa espressione!”, ha commentato il Santo Padre: “L’uomo di Dio è uno che è affascinato dalla verità e che la trova pienamente nella Parola e nella Carne di Gesù Cristo. Lui è la sorgente inesauribile della nostra gioia”. “Che il popolo di Dio possa sempre trovare in noi la ferma denuncia dell’ingiustizia e il servizio gioioso della verità”.
La carità “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”. In queste “quattro parole”, tratte dall’inno alla carità di san Paolo, per Papa Francesco” c’è un programma di vita spirituale e pastorale”. “L’amore di Cristo, riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo - ha assicurato il Papa - ci permette di vivere così, di esser così: persone capaci di perdonare sempre; di dare sempre fiducia, perché piene di fede in Dio; capaci di infondere sempre speranza, perché piene di speranza in Dio; persone che sanno sopportare con pazienza ogni situazione e ogni fratello e sorella, in unione con Gesù, che ha sopportato con amore il peso di tutti i nostri peccati”. “Cari Fratelli, tutto questo non viene da noi, ma da Dio”, ha concluso Francesco: “Dio è amore e compie tutto questo, se siamo docili all’azione del suo Santo Spirito. Ecco allora come dobbiamo essere: incardinati e docili. Più veniamo incardinati nella Chiesa che è in Roma e più dobbiamo diventare docili allo Spirito, perché la carità possa dare forma e senso a tutto ciò che siamo e che facciamo. Incardinati nella Chiesa che presiede nella carità, docili allo Spirito Santo che riversa nei nostri cuori l’amore di Dio”.
Dopo il giuramento dei nuovi cardinali - in cui le 19 nuove porpore presenti hanno promesso “di conservare sempre con le parole e con le opere la comunione con la Chiesa cattolica; di non manifestare ad alcuno quanto mi sarà stato affidato da custodire e la cui rivelazione potrebbe arrecare danno o disonore alla Santa Chiesa; di svolgere con grande diligenza e fedeltà i compiti ai quali sono chiamato nel mio servizio alla Chiesa, secondo le norme del diritto” - ogni cardinale, secondo l’ordine di creazione, si è avvicinato al Santo Padre e gli si è inginocchiato davanti. Papa Francesco ha imposto lo zucchetto e la berretta cardinalizia alle nuove porpore.
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