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Francesco a messa Sarajevo: "mai più la guerra"

Nello stadio Kosevo, davanti a 60 mila fedeli, il grido che ricorda quello di Giovanni Paolo II. Per papa Francesco gli operatori di pace sono coloro che la fanno. "Fare la pace è un lavoro artigianale". L'operatore semina il bene con le azioni quotidiane, di servizio, fraternità, dialogo, misericordia. Al termine della Messa il saluto del cardinale Pulijc.

Francesco a messa Sarajevo: "mai più la guerra"
apa Sarajevo

“Oggi si leva ancora una volta da questa città il grido del popolo di Dio e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà: mai più la guerra”. È l’esortazione di Papa Francesco durante la messa nello stadio Kosevo davanti a 60mila fedeli. “Mai più guerra”: grido che ricorda quello di Giovanni Paolo II nella sua visita in Bosnia del 1997. Nel mondo è in corso “una sorta di terza guerra mondiale combattuta ‘a pezzi’, ha detto il Pontefice, ripetendo un concetto già espresso in altre occasioni, “c’è chi questo clima vuole crearlo e fomentarlo deliberatamente, in particolare coloro che cercano lo scontro tra diverse culture e civiltà, e anche coloro che speculano sulle guerre per vendere armi”. “Ma la guerra - ha osservato - significa bambini, donne e anziani nei campi profughi; significa dislocamenti forzati; significa case, strade, fabbriche distrutte; significa soprattutto tante vite spezzate. Voi lo sapete bene, per averlo sperimentato proprio qui: quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore”. Uno spiraglio di speranza viene, ha detto Papa Francesco, dalla parola di Gesù nel Vangelo: “Beati gli operatori di pace”. Un appello che richiama all’azione in quanto “Non dice ‘Beati i predicatori di pace’: tutti sono capaci di proclamarla, anche in maniera ipocrita o addirittura menzognera. No. Dice: ‘Beati gli operatori di pace’, cioè coloro che la fanno. Fare la pace è un lavoro artigianale” che “richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia”.  “Beati sono coloro che seminano pace con le loro azioni quotidiane, con atteggiamenti e gesti di servizio, di fraternità, di dialogo, di misericordia. Fare la pace è un lavoro da portare avanti tutti i giorni, passo dopo passo, senza mai stancarsi”. Ma la pace è anche opera della giustizia. “Anche qui: non una giustizia declamata, teorizzata, pianificata ma la giustizia praticata, vissuta. E il Nuovo Testamento ci insegna che il pieno compimento della giustizia è amare il prossimo come sé stessi. Quando, con la grazia di Dio, noi seguiamo questo comandamento, come cambiano le cose! Perché cambiamo noi! Quella persona, quel popolo, che vedevo come nemico, in realtà ha il mio stesso volto, il mio stesso cuore, la mia stessa anima. Abbiamo lo stesso Padre nei cieli. Allora la vera giustizia è fare a quella persona, a quel popolo, ciò che vorrei fosse fatto a me, al mio popolo”. Umiltà, bontà, mansuetudine, magnanimità, perdono: sono questi, per il Papa, “gli atteggiamenti per essere artigiani di pace nel quotidiano. Non illudiamoci però che questo dipenda solo da noi!” ha avvertito Francesco. “Cadremmo in un moralismo illusorio. La pace è dono di Dio, non in senso magico, ma perché Lui può imprimere questi atteggiamenti nei nostri cuori e nella nostra carne, e fare di noi dei veri strumenti della sua pace. Solo se si lascia riconciliare con Dio, l’uomo può diventare operatore di pace”.

Al termine dell'Eucarestia ha preso la parola il cardinale Vinko Pulijc, arcivescovo di Sarajevo.  La Bosnia ed Erzegovina, dopo le “terribili guerre e regimi” del secolo scorso “è un Paese ferito e spossato. La Chiesa cattolica in questa regione è stata dimezzata. Con tristezza costatiamo, ogni giorno, che siamo sempre di meno. La Sua parola di padre, la preghiera di pastore e la Sua forte e autorevole presenza ci donano la forza di vivere qui e lavorare con gli altri per costruire la pace e il dialogo in questo paese. Questo giorno e questo evento è per noi un forte sostegno per i pastori e per tutti i fedeli di questo paese”. L’arcivescovo ha ringraziato il Pontefice per l’incoraggiamento ricevuto anche durante la visita “ad limina Apostolorum” del 16 marzo 2015, in Vaticano e ricordato come “nel corso della storia abbiamo vissuto diverse ondate di persecuzione, di martirio e d’ingiustizia, così come tanti altri. Grazie alla fede coraggiosa dei nostri antenati e al nutrimento della fede nelle famiglie, siamo sopravvissuti fino ad oggi”. “La sua presenza - ha affermato il card. Puljić rivolto al Papa - ci incoraggia ma, allo stesso tempo, è un messaggio al mondo che esprime che noi vogliamo essere quello che siamo, che desideriamo restare su questo suolo nativo con gli altri e con chi è diverso, per costruire il futuro di questo paese sulla base della parità dei diritti e delle libertà”. Dall’arcivescovo di Sarajevo è giunto anche il ricordo dei “numerosi martiri e testimoni coraggiosi della fede”. Tra questi il venerabile Petar Barbarić, seminarista nato in Erzegovina e istruito in Bosnia; il Servo di Dio Josip Stadler e di Fra Lovro Milanović. Solo alcuni nomi di un lungo elenco di “testimoni coraggiosi della fede e, per noi, esempio vivente e stimolo a vivere con coraggio nella fede degli antenati”.

 

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