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Francesco in sinagoga: "incontriamoci come amici e fratelli"

Jorge Mario Bergoglio è stato il terzo pontefice a visitare il tempio maggiore di Roma. I frutti nuovi del Concilio Vaticano II nel dialogo reciproco, le sfide del tempo presente per la difesa del creato, la massima vigilanza perché non accada più la barbarie della Shoah, tanti gli spunti di riflessione dallo storico incontro.

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Francesco in sinagoga: "incontriamoci come amici e fratelli"

“Da un punto di vista teologico, appare chiaramente l’inscindibile legame che unisce cristiani ed ebrei. I cristiani, per comprendere sé stessi, non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabilità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele”. Con quest’espressione papa Francesco ha condensato il percorso di avvicinamento tra cristiani ed ebrei, come si è avuto negli ultimi 50 anni, soprattutto dopo la pubblicazione della Nostra Aetate. La visita di papa Francesco alla sinagoga di Roma è stato un altro dei momenti storici del pontificato di Bergoglio, terzo pontefice a varcare la soglia del tempio maggiore di Roma, dopo Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Proprio alla via aperta dai due predecessori di papa Francesco ha fatto riferimento il rabbino capo Di Segni nel lungo discorso che ha preceduto quello del Papa. Una visita speciale, perché corredata da una serie di segni dimostrativi di come – dirà Bergoglio – “siamo diventati amici e fratelli”. Perché così non può essere, essendo figli dello stesso Padre, concetto che Francesco ha ribadito più volte nel corso della toccante cerimonia. Durante il suo discorso, infatti, papa Bergoglio è stato più volte interrotto dai copiosi applausi che sono arrivati dalla sinagoga, piena per accogliere il Vescovo di Roma. Prima della cerimonia, Francesco ha deposto una corona di fiori alla stele che ricorda l’eccidio degli ebrei romani del 1943, e, percorrendo lavia Catalana, è arrivato fino all’effige in ricordo di Stefano Gay Taché, il bambino ucciso nell’attentato terroristico del 1982. Qui si è soffermato a parlare proprio con i suoi familiari.
“Nella mia prima visita a questa Sinagoga come Vescovo di Roma, desidero esprimere a voi, estendendolo a tutte le comunità ebraiche, il saluto fraterno di pace di questa Chiesa e dell’intera Chiesa cattolica – il saluto di Francesco. Le nostre relazioni mi stanno molto a cuore”.

Dialogo. “Nel corso del tempo, si è creato un legame spirituale, che ha favorito la nascita di autentici rapporti di amicizia e anche ispirato un impegno comune. Nel dialogo interreligioso è fondamentale che ci incontriamo come fratelli e sorelle davanti al nostro Creatore e a Lui rendiamo lode, che ci rispettiamo e apprezziamo a vicenda e cerchiamo di collaborare”.  Un legame dunque visibile, che s’è accresciuto negli anni, e ha finalmente portato a un cammino comune, per “un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo”. Francesco lo ribadisce ancora: “ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune”. Anche riguardo alla “dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico”, essa “merita di essere sempre più approfondita, e desidero incoraggiare tutti coloro che sono impegnati in questo dialogo a continuare in tal senso, con discernimento e perseveranza”.

Sulla scia della Chiesa. Il pensiero di Francesco è andato subito ai suoi predecessori, di cui, “con questa mia visita seguo le orme”. “Papa Giovanni Paolo II venne qui trent’anni fa, il 13 aprile 1986; e papa Benedetto XVI è stato tra voi sei anni or sono. Giovanni Paolo II, in quella occasione, coniò la bella espressione ‘fratelli maggiori’, e infatti voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede. Tutti quanti apparteniamo ad un’unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo”.
Frutti del Concilio. “Abbiamo da poco commemorato il 50º anniversario della Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II, che ha reso possibile il dialogo sistematico tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo”. Già Giovanni XXIII aveva favorito, nella liturgia, un rapporto più dialogico con gli ebrei. L’Assise ecumenica ha ampliato ancor di più i rapporti. “Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e benevolenza – ha sottolineato il Papa. Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli”. La via, allora, è quella del “sì” “alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo” del “no” “ad ogni forma di antisemitismo, e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano”

Sfide.   La collaborazione tra cristiani ed ebrei, però, non deve rimanere solo sul piano del dialogo, ma tradursi in collaborazione concreta per “non dobbiamo perdere di vista le grandi sfide che il mondo di oggi si trova ad affrontare”. Anzitutto, il Papa cita quella di “una ecologia integrale” che definisce “ormai prioritaria, e come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato”. “Conflitti, guerre, violenze ed ingiustizie aprono ferite profonde nell’umanità e ci chiamano a rafforzare l’impegno per la pace e la giustizia”. Una verità che fornisce a Francesco, in questo momento difficile, la possibilità di ricordare che “la violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche”. “La vita è sacra – ricorda il Papa - quale dono di Dio” e “il quinto comandamento del Decalogo dice: ‘Non uccidere’. Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita”. Uno sguardo ancora all’attualità: “noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita”.
Davanti a Dio. “Dio è il Dio della vita, e vuole sempre promuoverla e difenderla; e noi, creati a sua immagine e somiglianza, siamo tenuti a fare lo stesso. Ogni essere umano, in quanto creatura di Dio, è nostro fratello, indipendentemente dalla sua origine o dalla sua appartenenza religiosa”. Ecco perché nel Decalogo c’è la grande occasione per ritrovarsi uniti, soprattutto nell’amare il prossimo, perché “Dio, che porge la sua mano misericordiosa a tutti, indipendentemente dalla loro fede e dalla loro provenienza, si prende cura di quanti hanno più bisogno di Lui: i poveri, i malati, gli emarginati, gli indifesi”.

Mai più orrori. Ha Non poteva mancare, nel discorso di Francesco, il ricordo dell’olocausto. “Il popolo ebraico, nella sua storia, ha dovuto sperimentare la violenza e la persecuzione, fino allo sterminio degli ebrei europei durante la Shoah” – ha detto il Papa, richiamando anche l’eccidio romano del 16 ottobre 1943. “Oggi desidero ricordarli con il cuore, in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro”. Per Francesco, “la Shoah ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace”.

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