I seminaristi al Centro Italia: rapporto con i laici e difficoltà nella formazione permanente
È un focus sulla realtà dell'Italia centrale il tema al centro della terza puntata dell'inchiesta sui seminari. Sono 465 gli studenti in formazione, ovvero il 20 per cento circa del totale nazionale. Entriamo tra le mura del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni (Lazio), il Pontificio Seminario Regionale Umbro “Pio XI” di Assisi, il Pontificio Seminario Regionale Marchigiano “Pio XI” ad Ancona e il Seminario Maggiore Arcivescovile di Firenze (Toscana). Dall'invito a considerare i laici corresponsabili alla richiesta di maggiore vigilanza nell'accesso al sacerdozio.
Sono 465 i seminaristi nel Centro Italia (Lazio, Umbria, Marche e Toscana), che equivalgono a circa il 20 per cento del totale nazionale.
Guide di comunità non più omogenee. Più che di formazione permanente, si potrebbe parlare di “stato permanente” di formazione per aiutare i seminaristi “ad acquisire la consapevolezza di essere persone bisognose di continua conversione, formazione, verso una sempre maggiore conformazione alla persona di Gesù”. Lungo questa direzione si muovono gli educatori del Pontificio Collegio Leoniano, il Seminario Regionale del Lazio-sud e delle diocesi suburbicarie retto da don Leonardo D’Ascenzo. La formazione, spiega, “non comincia né termina con il tempo del seminario ma vive stagioni diverse, dal battesimo alla morte”. Per questo,
“stiamo lavorando insieme ai vescovi delle diocesi che fanno riferimento al nostro Seminario, a un progetto di formazione per giovani presbiteri, consapevoli del fatto che un seminario deve essere aperto e collegato con il ‘tempo precedente’ della pastorale vocazionale dei Centri diocesani, e con il ‘tempo seguente’ dell’inserimento dei giovani preti nel ministero pastorale”.
Ad Anagni sono presenti 55 seminaristi, il 25 per cento in più rispetto al 2004. Ben oltre la metà quelli sotto i 25 anni e soltanto 4 gli “over 35”. In totale, invece, sono 227 gli studenti del Lazio censiti nel 2014. Dal Collegio escono persone che, nelle parole del rettore, sono “in comunione con il vescovo e tra di loro, affinché sappiano dedicarsi pienamente al servizio della Chiesa”: “Guide di comunità che non si presentano omogenee neanche all’interno delle singole diocesi, sempre più diversificate e connotate da mobilità e multietnicità. Comunità nei confronti delle quali sono chiamati, oggi da seminaristi e domani da preti, a curare la memoria delle proprie origini, la gratitudine e la riconoscenza”.
Centralità e corresponsabilità dei laici. Un prete capace di collaborare coi laici, di considerarli corresponsabili e non subordinati. Il Pontificio Seminario Regionale Umbro “Pio XI” risponde alle esigenze del territorio (61 studenti), costituito prevalentemente da piccole comunità e segnato da una prolungata crisi di vocazioni, proponendo l’esempio di “un presbiterio ‘non clericale’, nel quale non ci si limiti ‘ad aiutare i fratelli’ o a considerarli ‘confratelli-colleghi’, ma che possa essere espressione di una fede autentica capace di esprimersi e di testimoniare un nuovo stile di vita pastorale vissuto in una autentica fraternità e in comunione con il vescovo in cui i laici diventano la ‘componente’ essenziale”. Per monsignor Carlo Franzoni, rettore del Seminario di Assisi, è fondamentale che non esca un “prete già fatto” ma una persona disposta “a compiere un cammino di formazione permanente, che avviene nella e per mezzo della comunità ecclesiale”. I 50 seminaristi, di cui 9 al propedeutico, sono raramente figli unici e l’età media è di poco superiore ai 31 anni.
La maggior parte sono “adulti-giovani” che hanno concluso il percorso accademico e spesso iniziato l’attività professionale o lavorativa e che, attraverso “forti esperienze ecclesiali”, hanno riscoperto la centralità della fede.
Non mancano, inoltre, adulti o giovani lavoratori neoconvertiti che avevano abbandonato gli studi dopo le scuole medie e che “in seguito alla chiamata a una vita di consacrazione ministeriale danno una svolta radicale alla propria esistenza”. Pochi i giovani che entrano in seminario in seguito a un “normale” percorso di fede vissuto in parrocchia, mentre aumentano le storie di famiglie allargate alle spalle e i casi di vita profondamente segnata da esperienze di tossicodipendenza.
Alle difficoltà formative derivanti da un contesto storico-sociale caratterizzato da identità fragili e situazioni familiari non di rado segnate da profonde ferite, spiega mons. Franzoni, si aggiunge la realtà di “seminaristi che provengono dai movimenti ecclesiali e che tendono a interpretare la loro appartenenza alla Chiesa esclusivamente nella cornice di quel determinato movimento, faticando a comprendere l’importanza di una prospettiva più ampia”. La carenza del numero dei sacerdoti non condiziona il discernimento vocazionale. Al contrario, precisa il rettore,
“si è particolarmente esigenti in quanto è assodata la convinzione che è molto meglio puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità”:
“La presenza di presbiteri ‘problematici’, ha evidenti riflessi negativi per decenni sull’intero presbiterio e sulla diocesi e condiziona spesso in modo negativo un cammino di formazione permanente”.
Luci e ombre della formazione permanente. “Trovare preti disponibili a servire come educatori in seminario, e a prepararsi per questo ministero, anche a causa della resistenza dei vescovi. Accogliere candidati che non sono stati accompagnati in un buon discernimento, hanno una debole esperienza di fede, non vengono dalle parrocchie e dalla vita diocesana, presentano immaturità non risolte a livello identitario, relazionale e affettivo. Coniugare la specificità della formazione in seminario con l’orizzonte del tirocinio pastorale”. Don Luciano Paolucci Bedini elenca con fermezza i disagi che più si avvertono nel Pontificio Seminario Regionale Marchigiano “Pio XI”. Le Marche (77 alunni), sottolinea, “hanno bisogno di preti molto vicini alla gente, uomini di fede forte e di preghiera, capaci di annunziare la Parola e di coniugarla con la vita di oggi, disponibili a lavorare con chiunque, prima di tutto con gli altri preti e con i laici”. Eppure, i sacerdoti che escono dal Seminario “hanno chiaro il fondamento del ministero e l’orizzonte della missione della Chiesa e del prete, ma faticano tanto a trovare un loro posto nella pastorale di oggi, e ad affiancarsi ai preti più grandi”. D’altra parte, aggiunge, è decisiva la fase iniziale che troppo spesso si risolve in “brevi colloqui dei candidati con i loro parroci, i loro vescovi o gli incaricati di pastorale vocazionale”:
“A volte qualcuno si presenta direttamente in seminario maggiore chiedendo di essere ammesso, come fosse una università. Più raramente ci sono cammini distesi e profondi di accompagnamento e di discernimento spirituale e vocazionale. Per fortuna c’è il passaggio del tempo propedeutico che ci permette di verificare i cammini personali, ma non basta senza il lavoro previo”.
I 30 seminaristi e 5 propedeuti di Ancona, in linea con la media degli ultimi anni, sono in maggioranza adulti con “esperienze importanti alle spalle, non sempre positive”: “Più maturi e disponibili per alcune dimensioni, ma anche a volte feriti dalla vita, non riconciliati con il loro passato, e più rigidi rispetto alla proposta formativa e all’accompagnamento personalizzato dei formatori. I giovani sono la minoranza e forse ‘troppo’ giovani per le alte esigenze di questo cammino”. Quanto alla formazione permanente, “è importante e strategica, ma non abbiamo ancora compreso cosa sia o debba essere concretamente. I riferimenti sono molteplici e positivi, ma l’esperienza è ancora attestata su forme antiche e poco coinvolgenti. I seminaristi ne sentono parlare, ma non la vedono nella realtà dei presbiteri che li attendono; conoscono l’importanza della formazione, ma non trovano continuità tra il percorso di seminario e l’approdo in diocesi”.
Insegnanti, elettricisti, guardie giurate, baristi… Le due o tre ordinazioni all’anno mostrano una grande varietà di storie, di caratteri e di chiamate. Ad accomunarle, però, c’è il tentativo di vivere la figura del prete secondo il Concilio Vaticano II, che si innesta dentro i doni e i limiti di ciascuno. Sono 27 gli alunni del Seminario Maggiore Arcivescovile di Firenze, guidato da don Gianluca Bitossi. La Toscana, che annovera complessivamente 100 seminaristi, è una terra che necessita di “preti che con le loro fragilità e gioie si mettano in gioco fino in fondo in questo tempo, qui ed ora, sicuri che si esce di seminario con le migliori intenzioni ma si è sempre ‘prodotti semi lavorati’ da rifilare, e questo avviene fuori, lasciandosi aiutare dallo Spirito attraverso le concrete comunità, gli incontri personali, gli impegni a cui si è mandati”. Ai giovani sacerdoti e a tutto il presbiterio è chiesto di essere “capaci di silenzio, di umiltà, di fiducia vera e concreta in Dio e nei laici, più in comunione con il vescovo e i confratelli”. Il prete deve essere “uomo di perdono e di relazione”, con un rapporto sereno con le proprie fragilità per raggiungere il quale si può ricorrere anche al supporto degli psicologi dei seminari.
Gli studenti, per la maggioranza concentrati nella fascia 23/26 anni, vengono da facoltà universitarie e dal mondo del lavoro: insegnanti, elettricisti, guardie giurate, baristi, architetti, bancari, infermieri, avvocati. “Queste diversità diventano occasioni di crescita e di fraternità attraverso la sincera accettazione di se, degli altri e del cammino di formazione. Alcuni hanno spiritualità ‘marcate’ e altri mostrano una certa sensibilità liturgica un po’ nostalgica del passato. Diversi non conoscono il mondo dei giovanissimi di oggi e faticano a inserirsi in esso.
I caratteri sono più forti e un po’ più difficili a plasmare. L’obbedienza c’è ma richiede dialogo, condivisione e motivazioni chiare”.
Il pericolo, osserva don Bitossi, è che “qualcuno entri avendo un suo modello di sacerdote e cerchi solo informazioni su come si fa il prete, senza l’esigenza di una formazione vera e la disponibilità a lasciarsi trasformare ed educare dentro”. Non mancano i casi di persone che vengono da esperienze di vita religiosa per uno o più anni, entrati in seminario dopo aver compreso che la strada da percorrere era diversa. In diocesi vi è anche una sezione distaccata del Seminario “Redemptoris Mater” che ospita 10 studenti.
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