Il Giubileo è sempre una domanda di perdono
È stato sempre il popolo a voler accorciare le distanza da un Giubileo all'altro che doveva avere una scadenza di 100 anni, all'inizio di ogni secolo, per cui fu portato a 50 anni e poi a 25, per impedire che una generazione di persone possa essere priva di questa grazia. Manifesta il desiderio di perdono di Dio, di rinascita, di sentirsi uniti in un comune cammino, diretti a una meta condivisa.
Appena annunciato da papa Francesco ha suscitato interesse ed entusiastiche adesioni. Lo ha fatto in un contesto di preghiera, le “24 ore per il Signore”, un’iniziativa che sta divenendo una prassi diffusa nelle comunità ecclesiali cattoliche del mondo. Sapremo di più delle modalità di svolgimento di questo “Giubileo straordinario della Misericordia” la prima domenica dopo Pasqua, la domenica in Albis, ribattezzata da Giovanni Paolo II come domenica della Divina Misericordia. Fin d’ora sappiamo però che avrà inizio l’8 dicembre di quest’anno, festa dell’Immacolata Concezione di Maria e 50° anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II. Sappiamo anche che l’organizzazione di questo evento universale e storico è affidata al Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione. Non si può non notare che l’intenzione di papa Francesco si collega idealmente all’iniziale intuizione prospettica di Giovanni XXIII, che determinò una svolta nello stile pastorale della Chiesa. Egli volle che i lavori del Concilio fossero improntati alla “medicina della misericordia” piuttosto che su quella della “severità” e del rigore. Tale scelta dichiarata da papa Giovanni non fu dettata da una tattica di aggiramento delle persone, ma dal desiderio di far tacere la voce dei “profeti di sventura”, mostrando agli uomini di oggi “la validità della dottrina piuttosto che rinnovando condanne”: “La Chiesa cattolica, innalzando per mezzo di questo Concilio ecumenico, la fiaccola delle verità religiose, vuol mostrarsi madre amorevole di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia e di bontà, anche verso i figli da lei separati”. È un’ampia coraggiosa apertura a quella parte dell’umanità che papa Francesco chiamerebbe le “periferie esistenziali”.
La linea tracciata da Giovanni XXIII all’inizio dei lavori del Concilio nel famoso discorso di apertura, “Gaudet Mater Ecclesia” (11 ottobre 1962), è stata raccolta dai suoi successori e trasmessa al mondo in modi diversi e con linguaggi propri da Paolo VI e Giovanni Paolo II, e ora da papa Francesco con questo inaspettato gioioso annuncio, accolto come un dono dello Spirito che aleggia sul turbinoso spettacolo del mondo. Non sarà male ricordare ai distratti e superficiali che si accorgono solo occasionalmente dell’esistenza della Chiesa che essa prosegue il suo antico e nuovo pellegrinaggio nella storia, nella quale, nonostante limiti e cadute, semina con abbondanza la fiducia, la speranza e la dignità ai poveri nel corpo e nello spirito, risollevati dalla loro prostrazione e dalla sofferenza di sentirsi perduti e abbandonati. L’annuncio della misericordia è particolarmente e decisamente marcata da papa Bergoglio in ogni sua omelia e dichiarazione, per una sua radicata scelta personale, pastorale e teologica insieme. Nel suo stemma brillano le parole “Miserando atque eligendo”, che descrivono la scelta fatta da Gesù a Matteo.
Nell’attuale fase della storia, dove si svolge un confronto serrato e spesso violento di popoli e nazioni, di civiltà, culture e religioni, e dove i cristiani sono perseguitati in tante parti del mondo, la Chiesa potrebbe esprimersi con altre forme di presenza e di visibilità nella difesa dei principi e dei valori propri della sua dottrina, per la salvaguardia della sua stessa sopravvivenza in determinati Paesi e per imporre la pace con strumenti di pressione e di potere. Ma la convinzione profonda della centralità della Misericordia nel messaggio cristiano la sottrae a ogni tentazione mondana e la spinge a proporla al mondo come il nome proprio di Dio che è Amore. Papa Francesco ritiene che non vi sia per la Chiesa altra via che quella della misericordia. Nella Chiesa c’è posto per tutti, ella non chiude la porta a nessuno, non vi è peccato che non possa essere perdonato, non vi è persona che non possa essere salvata.
Il Giubileo è occasione e strumento ed è percepito, non da oggi, dalle persone più disparate e lontane. Basti pensare che lo stesso primo Giubileo del 1300, indetto da Bonifacio VIII, un papa non amato da Dante, è stato fortemente voluto dal popolo, così come in precedenza sono state reclamate dal popolo la Perdonanza di Celestino V e il perdono della Porziuncola di S. Francesco. È stato sempre il popolo a voler accorciare le distanza da un Giubileo all’altro che doveva avere una scadenza di 100 anni, all’inizio di ogni secolo, per cui fu portato a 50 anni e poi a 25, per impedire che una generazione di persone possa essere priva di questa grazia. Questo fatto indica la presenza nelle profondità del cuore umano del desiderio di perdono di Dio, di rinascita dalle colpe, di riconciliazione con se stessi e con i fratelli, un desiderio ancora di sentirsi uniti in un comune cammino, diretti a una meta condivisa. Indulgenza per il popolo credente è sinonimo di perdono, senza sottili distinzioni ed è oggi del tutto lontano ogni riferimento alle indulgenze quantificate o monetizzate di triste memoria. Tra i ventinove Giubilei della storia, oltre ai 26 ordinari, questo è straordinario e si affianca al Giubileo sempre straordinario indetto da Pio XI nel 1933, per celebrare il 19° centenario della Redenzione (considerando la morte e risurrezione di Gesù avvenute nell’anno 33 d.C.) e con la stessa motivazione nel 1983 indetto da Giovanni Paolo II.
Il Giubileo della Misericordia, quindi, assume i caratteri dell’originalità e della novità, e ciò è anche nota costitutiva della “evangelizzazione”, sempre nuova e sempre dello stesso Vangelo eterno, fonte di riconciliazione e di pace per tutti i singoli esseri umani che vengono alla luce su questa terra.
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