In dialogo con i giovani
L’invito: essere costruttori di ponti e non di muri
Vi giudicheranno dei sognatori perché credete in una umanità nuova, che “non accetta l’odio tra i popoli, non vede i confini dei Paesi come delle barriere e custodisce le proprie tradizioni senza egoismi e risentimenti”; ma non scoraggiatevi. È l’invito che Papa Francesco rivolge ai giovani nella messa conclusiva della trentunesima Giornata mondiale della gioventù. È l’invito a non stare con le braccia conserte, sentirsi sempre amati – il Signore “fa sempre il tifo per noi come il più irriducibile dei tifosi” – perché nessuno è inferiore, distante, insignificante.
Ai giovani il Papa gesuita parla dell’incontro con Gesù con il linguaggio dei social network; così può dire che non importa il vestito che porti o il cellulare che usi, “ai suoi occhi non vale proprio nulla”. Affezionarsi alla tristezza è un virus, che “infetta e blocca tutto, che chiude ogni porta, che impedisce di riavviare la vita”. E questa non va chiusa in un cassetto, e non si può rispondere al Signore con un “pensiero o con un semplice messaggino”.
Chiede loro di essere giovani con il cuore pulito, che lottano “pacificamente per l’onesta e la giustizia”, che non accettano ilmaquillage dell’anima per apparire migliori, ma installano “una connessione più stabile, quella di un cuore che vede e trasmette il bene senza stancarsi”. E tra tutti i contatti e le chat di ogni giorno, Francesco chiede che ci sia un posto per “il filo d’oro della preghiera”.
È un dialogo che continua con i giovani, iniziato trenta anni fa da Giovanni Paolo II, proseguito da Benedetto XVI e oggi da Francesco; che già in Brasile, a Rio, 2013, aveva ricordato ai ragazzi che Dio è più importante della Coppa del mondo. Il Vangelo, dice ai giovani a Cracovia, sia “il tuo navigatore sulle strade della vita”. Strade segnate dalla violenza, dal terrorismo, ricordava nella veglia di preghiera, sabato, e dice: niente giustifica il sangue di un fratello, niente è più prezioso della persona che abbiamo accanto”. Così il dolore, la guerra che vivono molti ragazzi “non sono più una cosa anonima” m hanno un nome, un volto, una storia, una vicinanza.
Piove a Cracovia e due ragazzi si riparano sotto le loro due bandiere: una della Russia, l’altra dell’Ucraina. La Giornata mondiale della gioventù è anche questo lasciare da parte divisioni e odi; incontrandosi, si possono cogliere le diversità, ma anche, e soprattutto, ciò che unisce. “Non ci metteremo a litigare, non vogliamo distruggere. Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore”. È questa la risposta che Francesco chiede ai giovani. C’è una immagine che forse più di altre ci aiuta a cogliere quel desiderio di pace e di dialogo che è filo conduttore del magistero dei papi: la preghiera silenziosa di Auschwitz, un silenzio che urla e interroga le nostre coscienze, che parla di follia, di annientamento dei diritti, e chiede un rinnovato impegno perché non accada mai più che un uomo possa decidere della vita e della morte di un popolo. Il bacio al palo delle impiccagioni, la mano al muro delle fucilazioni. E poi il raccoglimento, lungo silenzioso, nella cella dove è stato lasciato morire Massimiliano Kolbe. Un silenzio che rompe la sera alla Via Crucis per chiedersi, e chiedere, “dov’è Dio se nel mondo c’è il male, se ci sono uomini affamati, assetati, senza tetto, profughi, rifugiati. Dov’è Dio quando persone innocenti muoiono a causa della violenza, del terrorismo, delle guerre”. Dov’è Dio quando i bambini vengono sfruttati, umiliati. Parole che ricordano il grido di Papa Benedetto a Birkenau e quello “sbigottito silenzio” di fronte a quella “industria dell’odio e della morte” che è stata Auschwitz. Dio, ricorda Francesco, è in loro; abbracciando il legno della croce Gesù abbraccia la nudità e la fame, la sete e la solitudine, il dolore e la morte. L’invito, dunque, è quello di essere costruttori di ponti e non di muri: basta città dimenticate; mai più fratelli circondati da morte e uccisioni.
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