L'impegno della Chiesa italiana per la pace in Siria
La pace – e torno ancora su parole di Papa Francesco – rimane un lavoro artigianale, che richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia. Più che in altri momenti, questo è il tempo in cui crederci fino in fondo, immaginando iniziative di incontro e di scambio, convinti che ogni volta che apriamo il cuore oltre i confini di casa torniamo arricchiti per affrontare con più forza anche le problematiche che angustiano la nostra gente.
La storia la conosciamo. Racconta di un uomo che, scendendo da Gerusalemme a Gerico, incappa nei briganti che gli portano via tutto, lo percuotono a sangue e lo lasciano mezzo morto sul ciglio della strada. Oggi quell’uomo ha anche un volto: è quello – e sono milioni – dei siriani sfollati nei Paesi confinanti o costretti a farsi profughi interni; di quanti sono privi dell’acqua, del cibo e dell’accesso alle cure sanitarie essenziali; dei 27mila bambini uccisi senza un perché e di tutti gli altri privati degli affetti di una famiglia, del calore di un’aula scolastica, della stessa possibilità di avere un’infanzia. Mi torna con prepotenza alla mente questa scena evangelica, mentre cerco di capire il dramma che si sta consumando sulla pelle di una popolazione civile stremata da otto anni di guerra. Sì, abbiamo visto ammainare la bandiera nera dell’Isis, ma la strage degli innocenti non si ferma.
Continua con il ricorso alle armi chimiche. Continua con il coinvolgimento diretto delle grandi potenze, che – come ha osservato Papa Francesco domenica 15 aprile – “nonostante gli strumenti a disposizione della comunità internazionale”, faticano a “concordare un’azione comune in favore della pace”. Penso a quanto siano profetiche le parole del card. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, che lo scorso mese ci descriveva una situazione che vede agire sul terreno gli eserciti più potenti del mondo con linee rosse molto vicine e cacciabombardieri siriani, russi, israeliani e della coalizione di 60 Paesi a guida americana solcare i cieli.
Zenari ci testimoniava anche l’impegno rischioso e coraggioso di tanti buoni samaritani – Chiese, organizzazioni umanitarie, Ong – disposti a farsi prossimo nelle mille forme della carità solidale, a cui deve unirsi, secondo l’appello del Santo Padre, la nostra incessante preghiera per la giustizia e la pace. Nel contempo, a fronte di uno scenario così preoccupante, avverto ancor più la necessità di coinvolgere la Chiesa italiana in un’iniziativa di riflessione e di spiritualità per la pace nel Mediterraneo. È chiaro che non si tratta semplicemente di organizzare un evento occasionale, destinato a restare fine a se stesso, ma di far la nostra parte per difendere il bene prezioso e fragile della pace e per proteggere ovunque la dignità umana.
La pace – e torno ancora su parole di Papa Francesco – rimane un lavoro artigianale, che richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia. Più che in altri momenti, questo è il tempo in cui crederci fino in fondo, immaginando iniziative di incontro e di scambio, convinti che ogni volta che apriamo il cuore oltre i confini di casa torniamo arricchiti per affrontare con più forza anche le problematiche che angustiano la nostra gente.
(*) presidente della Cei
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