La Cei: "urge un clero che sappia ascoltare"
Nel comunicato finale dell'Assemblea generale, l'evidenza della comunione dei Vescovi rispetto alle sollecitazioni espresse da papa Francesco all'inizio dei lavori. Attenzione particolare verso i seminaristi e la loro formazione e la gestione dei beni della Chiesa.
Il discorso imperniato sulla triplice appartenenza che costituisce il presbitero – appartenenza al Signore, alla Chiesa e al Regno – con il quale Papa Francesco ha aperto la 69ª Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (Aula del Sinodo, 16 – 19 maggio), è stato approfondito “nell’ampio confronto a porte chiuse che l’ha seguito”, “condiviso dai vescovi e ripreso nelle sue articolazioni dal cardinale Bagnasco, in occasione della celebrazione in San Pietro del suo 50° di ordinazione sacerdotale”. È quanto si legge nel comunicato finale dell’assise diffuso oggi dalla Cei. Il Papa, afferma il documento, sottolinea che lo stile di sobrietà, lo “stile di vita semplice ed essenziale, sempre disponibile” che rende il prete “credibile agli occhi della gente”, la sua appartenenza al Signore, che “ne marchia a fuoco l’esistenza, la conquista e la conforma a quella di Gesù Cristo”, non ha “nulla di intimistico”: l’essere scalzo è il modo di porsi “rispetto a una terra che si ostina a credere e a considerare santa” e per la quale il presbitero non esita a “donarsi senza misura”, accettando “dell’altro di farsi carico, sentendosi partecipe e responsabile del suo destino”. “In questa assunzione di responsabilità”, prosegue il comunicato, si inseriscono “anche i richiami che il cardinale presidente – a nome della Chiesa italiana – ha rivolto ai responsabili della cosa pubblica, perché, ‘senza distrazione di energie e di tempo’, si impegnino a individuare misure strutturali con cui affrontare ‘i veri problemi del Paese’: la mancanza di opportunità lavorative per i giovani, come per gli adulti che hanno perso l’occupazione; la denatalità, legata anche all’assenza di equità fiscale per le famiglie con figli a carico; le ludopatie, su cui lo Stato specula, nonostante le ricadute sociali devastanti che portano con sé”.
Introdotto da due relazioni – sul lavoro svolto nell’Assemblea generale di Assisi (novembre 2014), nel Consiglio permanente e nelle Conferenze episcopali regionali – , il rinnovamento del clero a partire dalla formazione permanente ha costituito il tema principale dei lavori dei vescovi. “L’attenzione alla dimensione spirituale ed ecclesiale si è soffermata sulla formazione iniziale”, ribadendo tra l’altro, l’importanza nei seminari “di una selezione puntuale dei candidati e di una qualificazione degli educatori; della valorizzazione di percorsi capaci di valorizzare gli apporti delle scienze umane e dell’individuazione di nuove modalità formative che coinvolgano anche la testimonianza di coppie di sposi e di famiglie”; sulla “paternità episcopale” e “sulla fraternità”; sulla “cura della vita interiore (sentita come la prima attività pastorale” e “della carità pastorale”. I vescovi, prosegue il comunicato, “hanno condiviso l’urgenza di un clero che sappia ascoltare e accogliere le persone, lasciandosi ferire dalla realtà quotidiana, specialmente dalle situazioni di povertà e di difficoltà, a partire dalla mancanza del lavoro.”
“Sulla via del sacerdote-pastore spesso grava un peso eccessivo, che concerne l’amministrazione dei beni ecclesiastici, complice anche una normativa civilistica complessa. In questo campo, che tocca realtà della comunità – mezzi per raggiungere i fini propri della vita della Chiesa –, la trasparenza è avvertita come obiettivo prioritario, condizione per una partecipazione attiva, responsabile ed efficace dei laici”, si legge ancora nel comunicato finale dell’Assemblea generale della Cei. Questa responsabilità, sottolineano i vescovi, ha bisogno di “una formazione specifica, non solo tecnico-giuridica, ma anche etica ed ecclesiale”. Tra le proposte è stata anche evidenziata la possibilità che la Curia diocesana offra “supporti tecnici di qualità” per sostenere il lavoro dei parroci nella gestione dei beni; “l’impegno a rivitalizzare gli organismi di partecipazione, promuovendo meccanismi virtuosi per giungere alle decisioni, mediante l’ascolto e il coinvolgimento, alla luce di un programma pastorale condiviso; l’importanza di studiare e condividere buone prassi relative alle forme in cui articolare l’amministrazione dei beni all’interno delle unità pastorali”. L’Assemblea ha chiesto che il Consiglio permanente studi “contenuti e forme per mettere a disposizione delle diocesi il lavoro maturato attorno a questo tema, con i punti essenziali della formazione permanente nelle diverse tappe della vita sacerdotale.” In questa prospettiva, si avverte l’importanza di assumere le indicazioni offerte da Papa Francesco e di continuare nelle diocesi il cammino di riforma del clero, che valorizzi pienamente il concilio, focalizzando l’attenzione non sui ruoli o sulle strutture, ma sul presbiterio e sulle comunità”.
Nel corso della loro Assemblea generale, i vescovi italiani hanno approvato all’unanimità l’aggiornamento della determinazione della XLV Assemblea generale (relativa al n. 5 della Delibera n. 57), con lo scopo di rafforzare l’intento dichiarato di “ordinare in modo più preciso e maggiormente efficace ai fini della trasparenza amministrativa e della diffusione dei rendiconti, anche in vista dell’azione promozionale, la procedura” che si è tenuti a seguire “per la ripartizione e l’assegnazione nell’ambito diocesano delle somme provenienti annualmente dall’otto per mille”. Lo riferisce il comunicato finale dei lavori, diffuso oggi. Nell’amministrazione dei beni, l’Assemblea generale “si è ritrovata compatta nella volontà di continuare sulla linea della massima chiarezza e trasparenza, confermando e rafforzando le linee di rigore finora adottate. Si tratta di un impegno che si muove in sintonia con i criteri presentati e condivisi lo scorso marzo in Consiglio permanente, concernenti l’elargizione di contributi con fondi provenienti dall’otto per mille”.
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