La Chiesa argentina fa memoria dei religiosi pallottini uccisi a San Patricio durante la dittatura militare
Sono trascorsi 40 anni dalla morte dei cinque religiosi pallottini assassinati a Buenos Aires nella parrocchia di San Patricio, in piena dittatura militare. La Chiesa argentina fa memoria delle vittime dell’attentato con una messa che sarà presieduta oggi dall’arcivescovo di Buenos Aires, cardinale Mario Aurelio Poli, alla presenza del nunzio apostolico, monsignor Emil Paul Tscherrig, di numerosi vescovi e di sacerdoti e laici delle diverse comunità pallottine del Paese. L'attesa della Comunità pallottina per il riconoscimento del martirio.
A 40 anni dalla morte dei cinque religiosi pallottini assassinati a Buenos Aires nella parrocchia di San Patricio, in piena dittatura militare, la Chiesa argentina fa memoria delle vittime dell’attentato con una messa che sarà presieduta oggi dall’arcivescovo di Buenos Aires, cardinale Mario Aurelio Poli, alla presenza del nunzio apostolico, monsignor Emil Paul Tscherrig, di numerosi vescovi e di sacerdoti e laici delle diverse comunità pallottine del Paese. Una messa che ha un sapore particolare perché, oltre a commemorare il tragico evento, è grande l’attesa dei pallottin,i ma non solo per il riconoscimento del martirio di p. Alfie Kelly, p. Pedro Duffau, p. Alfredo Leaden e dei seminaristi Emilio Barletti e Salvador Barbeito massacrati nella loro casa parrocchiale la sera del 4 luglio del 1976. “Aspiriamo che la Chiesa cattolica riconosca che i cinque religiosi erano uomini di fede e che sono stati uccisi per il fatto di essere religiosi pallottini cattolici”, ha affermato il rettore della Provincia irlandese dei pallottini, padre Jeremy Murphy, nel corso della conferenza stampa tenuta a Buenos Aires la settimana scorsa. “Noi siamo orgogliosi e convinti della loro testimonianza di fede in un contesto socio-politico molto difficile” ha aggiunto p. Murphy. Il loro maggiore impegno religioso, politico e sociale, ricorda la comunità pallottina, era sull’onda del Concilio Vaticano II e della Conferenza latinoamericana (Celam).
Testimoni della fede. Secondo quanto spiegato dal postulatore, padre Juan Sebastian Velasco, la fase diocesana del processo di beatificazione, avviata nel 2005 ai tempi in cui l’arcivescovo di Buenos Aires era il cardinale Jorge Mario Bergoglio, è in attesa della formale richiesta del “Nihil obstat” ( inesistenza di ostacoli per poter andare avanti con la causa) che l’attuale arcivescovo di Buenos Aires si è impegnato a inviare alla Congregazione delle Cause dei Santi. “Quando diciamo martire – afferma p. Velasco – dobbiamo ricordare che la parola viene dal greco e significa ‘testimone’. Sono testimoni della fede coloro che versano il sangue come ha fatto il primo grande martire, nostro Signore Gesù Cristo che fu crocifisso.
Dato l’evento, il luogo in cui è accaduto e il fatto che si sia trattato di tre sacerdoti e due seminaristi, riteniamo di avere il diritto e il dovere di chiedere che siano riconosciuti come martiri. Crediamo che sono testimoni della fede perché ci hanno lasciato la più profonda prova d’amore donando la vita per il loro gregge, vincendo i timori e scegliendo di obbedire a Dio prima che agli uomini. Ma anche perché, superando le loro differenze, sono stati segno di comunità, sia nella vita che nella morte. Crediamo che sono testimoni della fede perché sono stati fedeli al Vangelo e alla Chiesa , fino alle estreme conseguenze”. L’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio, direttore spirituale e confessore di p. Alfie Kelly (parroco di San Patricio dal 1973, membro della pastorale giovanile di Belgrano dal 1974 e direttore del Seminario catechistico archidiocesano Giovanni XXIII), pronunciò il 4 luglio del 2001 l’omelia in occasione dei 25 anni dell’attentato: “Io sono testimone, perché l’ho accompagnato nella direzione spirituale e nella confessione fino alla sua morte, di quel che era la vita di Alfie Kelly. Pensava solo a Dio. E faccio il suo nome perché sono stato testimone del suo cuore, ma in lui nomino tutti gli altri”.
Rimuovere le etichette. Per gli esecutori del crimine, i pallottini assassinati erano invece “delinquenti sovversivi” e appartenevano a una categoria che il terrorismo di Stato utilizzò in Argentina per giustificare le sue azioni criminose. Nella casa parrocchiale dove sono stati trucidati i religiosi, sono state trovate diverse scritte sulle pareti: “Por los camaradas dinamitados en Seguridad Federal”, quasi fosse una vendetta per i 20 poliziotti uccisi due giorni prima in un attentato attribuito all’organizzazione armata “Montoneros”; “Estos zurdos murieron por ser adoctrinadores de mentes vírgenes y son MSTM”, che suona pressappoco così: “Questi sinistrorsi morirono per essere predicatori di menti vergini e per essere membri del Movimento dei Sacerdoti per il Terzo Mondo”. “Hanno messo su di loro tutte le etichette possibili – affermò nell’omelia il cardinale Bergoglio – che il mondo utilizza per giustificare” ancora quel grido: “Crocifiggilo!”. Bergoglio esortava a “rimuovere le etichette e guardare il testimone”, per capire la fecondità della vita di ciascuno dei sacerdoti e seminaristi uccisi a San Patricio.
Diario personale. Intanto, la comunità pallottina oltre a chiedere il riconoscimento del martirio da parte dalla Chiesa, si è presentata come parte lesa nella causa giudiziaria aperta in Argentina dopo l’attentato. “Continuiamo ad avere molte domande senza risposte . Abbiamo il diritto di sapere chi sono quelli che hanno ucciso i pallottini e perché l’hanno fatto”, ha affermato il rettore provinciale, p. Murphy. “Io, che ho letto anche il diario personale di padre Alfie Kelly, di una cosa sono certo: era un uomo di una profonda spiritualità, un uomo di preghiera” ha assicurato al Sir p. Murphy dopo la conferenza stampa di giovedì scorso. È dal diario personale di p. Alfie Kelly che emerge questa testimonianza di fede, scritta la sera stessa in cui fu assassinato: “Ho avuto una delle più profonde esperienze nella preghiera (….). Lungo il giorno ho percepito il rischio che corre la mia vita. Di notte ho pregato intensamente (…). Ho pianto molto (…). Mi sono reso conto tra le mie lacrime che sono molto attaccato alla vita, che la mia vita e la mia morte, il loro dono, hanno per disegno amoroso di Dio molto valore. In sintesi, che consegno la mia vita, vivo o morto, al Signore (…). Non appartengo già a me stesso perché ho scoperto a chi sono obbligato ad appartenere. Grazie, Signore”.
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