La luce della Pasqua
Un messaggio da comunicare a quanti incontriamo.
In questa domenica la liturgia ci offre l’ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni, quasi conclusione di un percorso, non per raccontare fatti sorprendenti ma per dire una presenza discreta, fedele, paziente. Per la terza volta il Signore torna a “manifestarsi” ai suoi, dopo i giorni della passione, della morte e della resurrezione; nella ferialità della vita.
La scena: Simon Pietro esce per pescare seguito dai suoi amici Tommaso, Natanaele, i figli di Zebedeo, e da altri due. Chi sono? Giovanni non lo dice, quasi interrogativo che lascia ai lettori. Escono ma tornano con le reti vuote. Il mare di Galilea, il luogo della chiamata dei primi discepoli: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni. Escono nella notte e il Signore li aspetta, seduto sulla riva. “Mentre tutto sembrava finito, è ancora Gesù a cercare nuovamente i suoi discepoli”, ricorda Francesco al Regina Coeli. “Le reti vuote appaiono, in un certo senso, come il bilancio della loro esperienza con Gesù: lo avevano conosciuto, avevano lasciato tutto per seguirlo, pieni di speranza… e adesso? Sì, lo avevano visto risorto, ma poi pensavano: ‘Se n’è andato e ci ha lasciati. È stato come un sogno’”.
Invece è lì, con una domanda che hanno ascoltato tante volte lungo le strade, nei villaggi: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Alla risposta negativa, ecco l’invito a tornare nelle acque del lago di Tiberiade, e gettare le reti dalla parte destra della barca. Forse avranno guardato quell’uomo con un po’ di meraviglia, quasi chiedendosi se fosse o meno il caso di ascoltare la sua richiesta; Francesco dice: “Si fidarono e il risultato fu una pesca abbondante”. Ancora una volta i Vangeli ci fanno comprendere che fidandosi del Signore si possono superare le difficoltà; Pietro e suoi amici erano usciti assecondando una scelta personale, ora ascoltando e obbedendo alle parole di Gesù ecco la pesca straordinaria, tanto che è faticoso portare a riva la rete con i centocinquantatre grossi pesci.
Qui la storia si fa scoperta. E il discepolo che Gesù amava, che aveva posato il capo sul suo petto nell’ultima cena, capisce prima degli altri e dice: è il Signore. Pietro non ha la pazienza di attendere e si getta in acqua per arrivare prima degli altri. Nelle parole di Giovanni, afferma Francesco al Regina Coeli, “c’è tutto l’entusiasmo della fede pasquale, piena di gioia e di stupore, che contrasta fortemente con lo smarrimento, lo sconforto, il senso di impotenza che si erano accumulati nell’animo dei discepoli. La presenza di Gesù risorto trasforma ogni cosa: il buio è vinto dalla luce, il lavoro inutile diventa nuovamente fruttuoso e promettente, il senso di stanchezza e di abbandono lascia il posto a un nuovo slancio e alla certezza che Lui è con noi”.
Gesù è lì sulla riva, ha preparato un pasto per loro. Come nell’ultima cena, prepara il cibo e lo distribuisce. Nessuno ha bisogno di avere conferma alle parole di Giovanni: è il Signore e lo hanno riconosciuto proprio nello spezzare il pane.
Ma ecco un altro dialogo, una domanda che per tre volte Gesù pone a Pietro: mi ami più di costoro? Mi ami? Mi vuoi bene? Pietro risponde e la terza volta capisce: Signore, tu conosci tutto, tu sai che ti voglio bene. Per tre volte, dunque, gli pone la domanda. Tre volte, come le tre volte che Pietro ha rinnegato Gesù nei giorni della passione. Gesù non gli ricorda quei giorni, ma gli fa una profezia: “Divenuto vecchio non sarai più completamente padrone di te stesso. Sarai obbligato a farti aiutare, tenderai le mani e chiederai che altri ti vestano, perché tu non ce la farai da solo, e sarai portato dove non vorrai andare”.
“Se a uno sguardo superficiale può sembrare a volte che le tenebre del male e la fatica del vivere quotidiano abbiano il sopravvento, la Chiesa – afferma Francesco – sa con certezza che su quanti seguono il Signore Gesù risplende ormai intramontabile la luce della Pasqua”. Un messaggio che siamo chiamati a comunicare a quanti incontriamo, “specialmente a chi soffre, a chi è solo, a chi si trova in condizioni precarie, agli ammalati, ai rifugiati, agli emarginati”.
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