Per le famiglie dei militari una pastorale audace e creativa
Si conclude oggi (17 giugno) a Loreto il corso di formazione e aggiornamento per i cappellani militari, chiamati a riflettere quest'anno sul tema della famiglia. Analizzate le difficoltà, spesso legate alle dinamiche e alle esigenze della vita militare, dei circa 350mila nuclei familiari che, nel nostro Paese, quotidianamente vivono questa realtà. Il punto sull'Ufficio per la famiglia e la vita, istituito un anno fa dall'ordinario monsignor Santo Marcianò.
Una pastorale “audace e creativa”, secondo lo stile auspicato da Papa Francesco, è quella che monsignor Santo Marcianò, ordinario militare per l’Italia, ha fortemente raccomandato ai cappellani militari, radunati a Loreto, dal 13 al 17 giugno, per riflettere sul tema della famiglia. E sì, perché a sentire le testimonianze di vita di questi sacerdoti che operano in un ambiente così particolare, quale quello militare, ci vogliono esattamente “audacia” e “creatività” - e pure in abbondanza - per annunciare efficacemente il Vangelo in un tale contesto. Ancor di più, poi, se il settore specifico dell’azione pastorale è quello della famiglia. Molte famiglie dei militari, infatti, affrontano difficoltà e problematiche peculiari, spesso legate alle dinamiche e alle esigenze della vita militare stessa. Stiamo parlando di circa 350mila nuclei familiari che, nel nostro Paese, quotidianamente vivono questa realtà. Non è certo un caso, quindi, se tra gli Uffici pastorali recentemente istituiti dall’Ordinariato, mons. Marcianò abbia voluto dare particolare rilievo proprio all’Ufficio per la famiglia e la vita, che ha compiuto da poco il suo primo anno di attività pastorale. Un anno di azione e programmazione che ieri (16 giugno), l’intera equipe che compone l’Ufficio, diretto da monsignor Pietro Campominosi, ha riassunto e presentato ai cappellani riuniti a Loreto, per poi ascoltare da loro esperienze, proposte e richieste per un’azione pastorale più efficace.
Difficoltà quotidiane. Proprio loro, i cappellani militari - nell’ambiente qualcuno li chiama scherzosamente “i preti con le stellette” -, che vivono il loro ministero condividendo “dall’interno” le vicende quotidiane della vita militare, sanno bene quali siano le difficoltà peculiari che il personale militare e le loro famiglie devono affrontare ogni giorno e quanto esse possano incidere sul loro benessere relazionale ed affettivo. Tra queste, forse, la più evidente è l’esposizione dei militari a una ripetuta “mobilità”. Trasferimenti (soprattutto nei primi dieci anni di carriera), missioni (in patria e all’estero), corsi di formazione, e1 altre incombenze professionali, spesso portano queste persone a dover stare per lunghi periodi lontani dalle proprie famiglie, con tutte le difficoltà conseguenti, tanto a livello di relazione di coppia, quanto a livello di relazione affettivo-educativa con i figli (soprattutto se piccoli). A questa sensazione prolungata di “instabilità” di vita, in alcuni casi e circostanze, si aggiunge la percezione di una sorta di “precarietà”, dovuta alla necessità di doversi esporre, anche per lunghi periodi e ripetutamente, ad effettivi rischi per la propria incolumità fisica, fino al rischio della stessa vita. Tutti elementi che, nella maggior parte dei casi, non contribuiscono certo alla serenità e alla stabilizzazione delle relazioni familiari, né allo sviluppo armonico di un progetto familiare condiviso nel quotidiano.
Comando-obbedienza. Un’altra “insidia” - questa volta sul piano psicologico e comportamentale - si presenta talvolta ai militari e alle loro famiglie, come diretta conseguenza dello stile di vita militare. Uomini e donne in divisa, infatti, vivono la loro attività lavorativa in un continuo dinamismo di relazione professionale fortemente improntata al binomio “comando-obbedienza”. Una diade che da sempre ha connotato il mondo militare, anche per ovvie ragioni organizzative, soprattutto in situazioni critiche ed emergenziali. I militari, uomini e donne, di qualunque grado, vengono formati per tanto tempo a questo tipo di modello relazionale e operativo, così che dopo tanti anni esso rischia di diventare come una seconda “pelle”, un tratto “spontaneo” (sebbene acquisito) della propria personalità. Ma se questo può funzionare all’interno della vita militare, certo non può rappresentare il modello ideale per la vita familiare, tipicamente improntata all’amore e al rispetto reciproco. Talvolta, la mancata “deposizione” di questo abito professionale nelle relazioni familiari è fonte d’incomprensioni e di crisi. Di queste - come di tante altre - difficoltà peculiari che impattano la realtà delle famiglie dei militari, l’impegno pastorale dei cappellani dovrà tener conto, sforzandosi con “audacia e creatività” di trovare vie e modi di evangelizzazione adeguati a tale contesto.
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