IN ALLEGATO IL PERCORSO RECENTE DELLA CHIESA IN MATERIA DI PRONUNCIAMENTO DELL'OMELIA. SU PAROLA DI VITA DI QUESTA SETTIMANA APPROFONDIMENTI SUL DIRETTORIO CON L'ANALISI DELLO SCHEMA REDAZIONE SEGUITO DAGLI ESTENSORI
Presentato il Direttorio omiletico
L'omelia non è un sermone, né un discorso astratto. Che venga preparata e sia incarnata, testimoniale. Sono questi alcuni dei temi emersi dal Direttorio.
Chi pronuncia l’omelia “ponga la parola di Dio al centro della propria vita spirituale, conosca bene il suo popolo, rifletta sugli avvenimenti del suo tempo, cerchi incessantemente di sviluppare quelle capacità che lo aiutino a predicare in maniera appropriata”. È l’indicazione contenuta nel Direttorio omiletico presentato ieri nella Sala Stampa della Santa Sede, dal cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, da monsignor Arthur Roche e padre Corrado Maggioni, rispettivamente segretario e sotto-segretario della medesima Congregazione, e da Filippo Riva del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali. Il volume è suddiviso in due parti. Nella prima, “L’omelia e l’ambito liturgico”, “si descrive la natura, la funzione e il contesto peculiare dell’omelia”. Nella seconda, “Ars praedicandi”, sono esemplificati metodi e contenuti che chi pronuncia l’omelia deve tener presenti nel prepararla ed enunciarla. Considerate “le molteplici esigenze della cura pastorale” e “un senso di personale inadeguatezza” che “possono portare allo scoramento”, nel testo si riconosce che “alcuni, per capacità e formazione, sono pubblici oratori più efficaci di altri” ma “per divenire un omileta efficace non è necessario essere un grande oratore”.
“L’omelia deve essere tenuta soltanto dai vescovi, dai sacerdoti o dai diaconi”. È quanto viene ricordato nel Direttorio omiletico. Nel testo si afferma che l’omelia “non è un sermone su un tema astratto”, “non è un’occasione, per il predicatore, di affrontare argomenti completamente slegati dalla celebrazione liturgica e dalle sue letture”, “non è neppure un puro esercizio di esegesi biblica” o “un insegnamento catechistico” e “non dev’essere impiegata come tempo di testimonianza personale del predicatore”. In questo senso, “come avverte Papa Francesco, la predicazione puramente moralista o indottrinante, ed anche quella che si trasforma in una lezione di esegesi, riducono questa comunicazione tra i cuori che si da’ nell’omelia”. Chi pronuncia l’omelia è bene che “sappia collegare i testi di una celebrazione a fatti e questioni di attualità, condividere i frutti dello studio per comprendere un brano della Scrittura e dimostrare il nesso che corre tra la Parola di Dio e la dottrina della Chiesa”. Tutti questi elementi “sono buoni se utili alla funzione dell’omelia; se la sostituiscono, non lo sono più”. “Naturalmente - prosegue il Direttorio - l’arte oratoria o di parlare in pubblico, compreso l’uso appropriato della voce e persino del gesto, contribuisce all’efficacia dell’omelia”. Per quanto riguarda la durata non vengono date indicazioni particolari se non quella che l’omelia sia breve nelle messe feriali.
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