Amatrice e la memoria del patrimonio culturale
Il terremoto ha colpito anche la storia di quel piccolo mondo antico.
Com’è strano l’uomo, spesso si accorge di quanto siano importanti le persone, quando le perde irrimediabilmente. Questo stato provoca nella mente di chi resta una sorta di simulazione del passato che, insieme al dolore, suscita sentimenti di tristezza che inducono alla ricostruzione della memoria. Ed è quanto accaduto anche a seguito del terribile evento sismico che ha colpito alcuni piccoli paesi del centro Italia e che, in un solo lunghissimo attimo tellurico, ha tragicamente cancellato la vita di moltissime persone, distrutto le loro case e i loro luoghi.
È stato colpito anche parte del patrimonio storico culturale di quel piccolo mondo antico, fermo nel tempo e lontano da quel turismo che guarda solo le grandi mete. Amatrice, con il suo borgo e l’orologio del campanile fermo alle 3:36, è diventata simbolo di quella memoria dimenticata, recuperata e perduta. Quel pittoresco aggregato di chiese antiche, casette medievali, scorci barocchi e graziosi balconcini ottocenteschi, sorto su un’ antica strada romana incrocio di diverse culture, oggi è scomparso quasi del tutto. Ma come era Amatrice? Lontano dalla tradizione culinaria di stampo nazional popolare, la piccola cittadina reatina aveva il pregio di custodire il segno di un’arte di frontiera, un’arte che aveva il sapore di un Medioevo che volgeva inconsapevole e reticente al nuovo gusto rinascimentale, un’arte dove si incontravano modelli stilistici duecenteschi di derivazione umbra con stilemi della cultura angioina di Napoli e raffinate contaminazioni provenienti dalla vivace terra marchigiana. Proprio qui, in questo crocevia di regioni e culture diverse, giunse la predicazione dei principali ordini mendicanti medievali, francescani e agostiniani. Segno del loro passaggio sono i due principali edifici religiosi del paesino. La chiesa dedicata a San Francesco è quella più antica, le origini risalgono alla metà del Duecento. L’impianto costruttivo è semplice: una navata unica che termina con un’abside poligonale, internamente caratterizzata da possenti nervature ottagonali che ne disegnano la volta a stella. Questo sviluppo architettonico, in apparenza povero e scarno, rispondeva ad una tipologia in uso dagli ordini mendicanti, le cosiddette ‘chiese-fienile’. Pregevole nella fattura è il portale d’ingresso, oggi lesionato, dove sensibili si avvertono i richiami ai modelli angioini filtrati dal gusto un po’ rude di marca abruzzese. L’ingresso è scandito dall’alternarsi di colonnine marmoree, lisce e tortili, con stipiti squadrati, di cui l’ultimo vivacizzato da una raffinata decorazione a racemi e girali. Nell’arco della lunetta trovavano alloggio le figure a tutto tondo ed in pietra policroma, della Vergine in trono con bambino, affiancata da due angeli genuflessi e da altre due figure angeliche dipinte nel sottarco. Quasi un gemello, per l’impostazione strutturale, è il portale della chiesa di Sant’Agostino realizzato nel 1428: ritroviamo i motivi a fogliame, le colonnine e altre piccole citazioni, segno di una cultura artistica comune.
Di particolare gusto autoctono è, invece, la decorazione degli archivolti che contornano la lunetta: a segnare visivamente il procedere della curvatura sono una serie di statuine raffiguranti monaci con il saio posti in vari atteggiamenti, a cui si affiancano personaggi del mondo laico, espressione di quella che era la società amatriciana tardo medievale. E adesso cosa rimane? Amatrice dormiva sonnecchiando sui monti dell’appennino, tra un passato non troppo lontano ed un presente non ancora pienamente moderno. Per un attimo, abbiamo provato a ricordare com’era quel suggestivo paese della provincia reatina e sognare un mondo che non c’è più, poiché a destarci dal nostro viaggio è giunto l’incubo irruento e agghiacciante della distruzione e della morte.
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