Misericordia è riconoscersi figli
Dal Newton curvato su se stesso di Blake all'abbraccio di Rembandt, un percorso interiore dell'uomo che guarisce dalla solitudine e rinasce al sussurro della paternità di Dio
Misericordia è nome di Dio e dell’indirizzo di casa nostra. Vivere lontani da Dio è come fare esperienza di esilio. È come andare in un paese lontano, costruirsi una dimora virtuale o peggio una prigione; è come dimorare in baracche. L’esiliato si ammala di solitudine, diventa dubbioso e sterile. Fuori dalla casa familiare, cade nel caos personale e sociale, non è che un senza-tetto. Dimenticando la sua provenienza, il suo legame con l’Altro diviene incapace di dialogo vero. Non sentendosi amato, non ama. Ripiegato su se stesso si curva sulla Terra, perdendo di vista il Cielo. Assomiglia al Newton di William Blake che si sforza di disegnare la volta celeste senza vederla! E, curvato su se stesso, volge al cielo le spalle; non gode dei suoi colori e si illude di possederlo rinchiudendolo in una formula da lui solo pensata e scritta; disegna un cielo immaginato ma non contemplato, sul quale proietta se stesso e del quale non coglie i segni divini. Sì, perché – come sottolinea Aristotele – o si cerca la Verità che è divina o si producono proprie verità. O per riprendere Karl Barth "quando il cielo si svuota di Dio, la terra si riempie di idoli"; pensiero che papa Benedetto XVI commenta con le seguenti parole: "Dove scompare Dio, l’uomo cade nella schiavitù di idolatrie, come hanno mostrato, nel nostro tempo, i regimi totalitari e come mostrano anche diverse forme del nichilismo, che rendono l’uomo dipendente da idoli, da idolatrie; lo schiavizzano”.
Il corpo del Newton di Blake sembra formare un tutt’uno con la roccia da cui a stento si distingue: emblema dell’uomo che ritiene di vivere in armonia con la natura, in quanto conoscitore delle sue leggi, poiché possessore delle verità terrestri. Illudendosi. La verità, infatti, si rivela nell’indefinito poiché sorpassa la capacità dell’uomo di definire le cose. Allora, può approssimarsi alla verità propria e a quella dell’Universo solo chi alza lo sguardo al cielo; chi punta i suoi occhi là dove il cielo e la terra si incontrano. L’orizzonte diventa l’ideale punto di partenza del ritorno a casa; in esso si visualizza la consapevolezza della vera natura dell’uomo, figlio del cielo che trova dimora in terra; pellegrino nel mondo che ha in cielo un Padre l’attende. Chi si riconosce figlio sceglie di non curvarsi ma di inchinarsi; di non ripiegarsi su se stesso ma di scoprirsi creatura, obbediente a una legge superiore a quella umana, perciò non pienamente conoscibile, ma capace di rivelare la natura divina dell’uomo.
L’immagine che si offre è quella del figliol prodigo, che potremmo rititolare del “figlio della Misericordia”. Misericordia è il nome di Dio Padre e noi, riconoscendoci bisognosi di perdono, ci riscopriamo suoi figli. “Misericordia – leggiamo nella bolla d’indizione del Giubileo, Misericordiae Vultus - è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”. Misericordia diventa sinonimo di Paternità; è espressione della relazione padre-figlio. Nella parabola di Luca, il figlio che si è allontanato da casa, prende consapevolezza del suo peccato guardando quel cielo rinnegato: “Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: ‘Padre ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio’”. Onorare il cielo è onorare la casa del Padre: è scoprirsi figli. Nel Vangelo di Luca leggiamo: “Siate dunque misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (15,36).
Aprendosi a Dio, avvicinandosi alla sua dimora, l’uomo si avvicina all’altro. E quanto più si approssima alla casa paterna e fa esperienza della bellezza e della verità tanto più cambia se stesso, si converte, divenendo misericordioso. Tutto cambia in lui, anche il suo linguaggio non è più lo stesso; poiché entrando in dialogo con l’Altro è capace di dialogo con gli altri, edifica la comunione. Nel viaggio verso la casa paterna l’uomo fa dimora con l’altro e insieme ricercano la verità che già alberga nel loro cuore e illumina il cammino. La misericordia consente, infatti, il passaggio dal buio alla luce. Come nel celebre quadro di Rembrandt in cui dallo sfondo cupo in cui domina il marrone emerge in primo piano la luminosità dell’abbraccio delle figure rafforzato dall’incontro dei colori caldi. La testa rasata del figlio fa pensare al capo nudo di un neonato: è il segno della rinascita. L’uomo rivive trovando dimora sul petto del padre, lì dove ha sede il cuore, dove nasce e cresce la “Miseri-cordia”. Nel quadro di Rembrandt il figlio inginocchiato è accolto amorevolmente dal Padre che si china sul figlio. Le sue mani hanno caratteristiche differenti: una affusolata, femminile; una robusta maschile. “La misericordia di Dio – scrive papa Francesco - non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio figlio. È veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”. Proviene dall’intimo come un sentimento profondo, naturale, fatto di tenerezza e di compassione, di indulgenza e di perdono”. La misericordia è il vincolo inscindibile tra genitore e figlio: l’uomo può scegliere di allontanarsi da casa ma non può cancellare la relazione intima con il padre (e la madre) inscritta nel suo dna; può mentire dicendo a suo padre “Non sono più tuo figlio” o vivere una parziale amnesia dimenticando la sua figliolanza, non può smettere però di ricercare con inquietitudine quella paternità sussurrata nel suo cuore fin dal giorno della nascita.
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