L'Eparchia di Lungro verso il primo centenario
Un contributo del protopresbitero Papas Pietro Lanza che fa la storia della diocesi di rito orientale, che nel 2019 compirà 100 anni.
Era il 13 febbraio 1919 quando il venerabile Papa Benedetto XV, con la Costituzione Apostolica “Catholici fideles”, istituiva l’Eparchia di Lungro degli Italo-Albanesi dell’Italia Continentale per “I fedeli cattolici di rito greco, che abitavano l’Epiro e l’Albania, fuggiti a più riprese dalla dominazione dei turchi, … accolti con generosa liberalità … nelle terre della Calabria e della Sicilia, conservando, come del resto era giusto, i costumi e le tradizioni del popolo greco, in modo particolare i riti della loro Chiesa, insieme a tutte le leggi e consuetudini che essi avevano ricevute dai loro padri ed avevano con somma cura ed amore conservate per lungo corso di secoli. Questo modo di vivere dei profughi albanesi fu ben volentieri approvato e permesso dall’autorità pontificia, di modo che essi, al di là del proprio ciel, quasi ritrovarono la loro patria in suolo italiano. […]”. La Santa Sede rispondeva così, con paterna benevolenza, alle pressanti richieste di tutela avanzate per lungo tempo dai discendenti del condottiero albanese Giorgio Castriota Skanderbeg, a suo tempo insignito del titolo di “Atleta di Cristo”, per l’impegno profuso coi suoi valorosi soldati, per un quarto di secolo, in difesa della libertà e dell’autodeterminazione del proprio popolo e della cristianità europea. L’esodo degli albanesi in Italia risale ai secoli XV-XVIII, dopo il Concilio di Firenze del 1439, la caduta di Costantinopoli del 1453 e la morte di Skanderbeg nel 1468.
In quel tempo si spostò una Nazione intera, una Chiesa, il cristianesimo albanese, la lingua albanese, un popolo intero con il suo patrimonio. I profughi dovettero dolorosamente abbandonare la Madre Patria, per poter rimanere in vita, liberi e cristiani; nell’esodo portarono con loro poche cose, le meno pesanti, le più preziose, quelle incancellabili: i ricordi, la lingua, il rito bizantino; mentre nel suolo patrio lasciarono dolore, vuoto e desolazione. Essi furono benevolmente accolti ovunque, come fratelli nella medesima fede cristiana. I Pontefici romani furono sempre paternamente provvidenti nei loro riguardi perché potessero avere condizioni di salvaguardia del proprio patrimonio ecclesiale orientale. L’istituzione dell’Eparchia di Lungro è il coronamento di un lungo percorso storico nel quale la Divina Provvidenza ha costantemente protetto questo piccolo popolo orientale integratosi pienamente nel tessuto della Chiesa latina, senza però perdere le proprie caratteristiche identitarie e peculiari. La Santa Sede con tale provvedimento riconosceva giuridicamente e per prima in assoluto la realtà unitaria e particolare degli Italo-Albanesi e donava ad essi una configurazione di diritto ecclesiale e civile. In questo 2016 l’Eparchia di Lungro ha iniziato il suo 98° anno di vita e avanza spedita per il I centenario. Nella sua storia registra quattro Vescovi dei quali il primo è stato Mons. Giovanni Mele, eletto all’età di appena 33 anni. Egli ha governato per 60 anni, dal 1919 al 1979 e si è eroicamente impegnato nell’ardua impresa di dare unitarietà alle Parrocchie della novella Eparchia che, precedentemente, appartenevano a ben 6 diverse Diocesi: Cassano Allo Jonio, Rossano, Bisignano, Anglona, Penne, Lecce, ubicate in 4 differenti regioni: Calabria, Basilicata, Abruzzo, Puglia.
Il suo successore Mons. Giovanni Stamati ha proceduto con eguale zelo apostolico per il recupero della spiritualità bizantina e per una uniforme fisionomia ecclesiale nel segno della continuità, della custodia e della valorizzazione dell’avito patrimonio spirituale e storico-culturale. Egli, a ridosso del Concilio Vaticano II, nel 1968, ha decretato l’uso liturgico della lingua albanese, materna e del popolo, come forte segno di unità diocesana nonchè di appartenenza e di vicinanza ad un popolo al quale, nella propria terra, era negata la libertà di poter pregare Dio. Nei paesi dell’Eparchia si pregava nell’antica e nobile lingua materna in attesa dell’alba di una rinascita della fede cristiana nella Madre Patria degli Avi. Il terzo Vescovo, Mons. Ercole Lupinacci, dal 1987 al 2010, ha provveduto ad elevare alla confacente dignità il patrimonio liturgico ed iconografico delle Chiese parrocchiali portandole ad una configurazione più aderente alla tradizione bizantina. Nel corso del suo ministero è stata celebrata la Prima Assemblea Diocesana dalla quale è venuto fuori un compendio di indicazioni per una buona vita ecclesiale, comunitaria e individuale, in linea con il patrimonio spirituale orientale. L’attuale Vescovo, Mons. Donato Oliverio, ha ereditato una bella Diocesi, saldamente piantata in Occidente dove rende visibile con estrema chiarezza le ricchezze della tradizione bizantina e la bellezza della possibile unità tra i cristiani di occidente e di oriente nella differenza delle tradizioni e nella diversità delle lingue.
Egli governa l’Eparchia da Lungro, una ridente cittadina di circa 3.000 abitanti, posta sul versante sud–ovest della Catena montuosa del Pollino, ai piedi del Monte Petrosa, ad un’altitudine di 600 metri sul livello del mare. Il suo Trono si trova in quella che è la Chiesa Madre di tutte le Chiese dell’Eparchia, la Cattedrale di San Nicola di Mira, costruita tra il 1721 e il 1825. Maestosa nella sua pianta romanico–barocca a croce latina è stata impreziosita negli ultimi decenni da pregevoli mosaici e affreschi, che la rendono un luogo unico in cui arte bizantina e spiritualità orientale si coniugano felicemente, tanto da portarla ad essere considerata la Chiesa più importante del cattolicesimo bizantino arbëresh in Italia. Nella sua cupola domina il maestoso Cristo Pantocrator “volto della misericordia del Padre”.
Oggi i fedeli dell’Eparchia sono circa 40.000 nei Paesi e altrettanti sparsi in varie città della Penisola italiana, ad assisterli nel loro cammino di divinizzazione ci sono una cinquantina di papàdes. Essi sono costituiti in 30 Parrocchie italo-albanesi di rito bizantino che sono ubicate in paesi sparsi, a macchia di leopardo, sul territorio di quattro Diocesi della Calabria: Cassano Ionio, San Marco Argentano, Rossano-Cariati e Cosenza-Bisignano e altre tre Diocesi al di fuori della regione, Tursi-Lagonegro, Lecce, Pescara-Penne. In questi centri gli abitanti, per strada e in famiglia, parlano l’arbëresh e nelle Chiese, durante le ufficiature liturgiche, i fedeli pregano e cantano in greco e in albanese. Nell’Eparchia si vive e osserva, con pienezza di comunione ecclesiale con la Sede di Pietro, la tradizione bizantina con il suo ricco patrimonio liturgico, cerimoniale, iconografico, teologico, spirituale, melurgico. Tali caratteristiche rendono la medesima, in Calabria e in Italia, segno vivente della realtà dei primi secoli dell’era cristiana, quando greci e latini vivevano in comunione e lodavano ciascuno nella propria lingua e secondo le proprie tradizioni l’unico e solo Dio.
Il programma pastorale del Vescovo Donato lo si può intravedere già nei primi passi del suo episcopato. Egli, appena insediatosi, ha guidato un pellegrinaggio di fedeli alla tomba dell’Apostolo Pietro, per elevare ringraziamento a Dio per la tanta benevolenza elargita agli arbëresh nel corso della loro permanenza in Italia e per ribadire la piena fedeltà degli Italo-Albanesi alla Chiesa Cattolica e al Papa di Roma. Nel suo secondo anno di episcopato, con una delegazione del suo presbiterio, è stato ricevuto ufficialmente dal Patriarca Bartolomeo a Costantinopoli al quale ha confermato che gli Italo-Albanesi mantengono viva la fede cristiana nella tradizione bizantina ricevuta dai padri. L’anno successivo si è recato in Albania a baciare la terra degli Antenati e ad incontrare i Vescovi albanesi, Cattolici e Ortodossi, nonché i responsabili delle comunità musulmane e bektashane, simboli viventi della rinascita della luce in quella terra di martirio e segnali di speranza per il mondo intero per le loro scelte di dialogo e di passi di pace. Il Vescovo Donato vuole guidare l’Eparchia di Lungro con i suoi fedeli italo-albanesi – di tradizione bizantina vissuta in piena comunione in un territorio di tradizione latina – a spendersi per l’unità dei cristiani per esprimere profeticamente il futuro prossimo della Chiesa: l’unità nella retta fede e nella abbondante ricchezza delle differenze ecclesiali.In tal senso ha avuto grande incoraggiamento da alcuni eminenti rappresentanti della Chiesa Ortodossa che, con la benedizione del Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, hanno visitato negli ultimi anni alcuni paesi dell’Eparchia di Lungro. Nell’ottobre del 2013 Stephanos Charalambides, Metropolita di Tallin e di tutta l’Estonia, e Athenagoras Peckstadt, che giunse come Vescovo di Sinope e ripartì da Lungro con la comunicazione della elevazione a Metropolita del Belgio; e nel novembre del 2015, di Elpidophoros Lambriniadis, Metropolita di Bursa, Abate del Monastero Patriarcale e Stavropigiaco “Santa Trinità” di Chalki. Essi hanno rilevato di aver scoperto tra gli italo-albanesi dell’Eparchia di Lungro dei fratelli dei quali ignoravano l’esistenza, pienamente appartenenti alla Chiesa Cattolica ma altrettanto pienamente fedeli alla tradizione bizantina dei Padri.
E i medesimi hanno incoraggiato a far diventare i paesi dell’Eparchia palestre di incontro per scambi fraterni tra cristiani ortodossi e cristiani cattolici, con piccoli passi di avvicinamento amichevole, per favorire la conoscenza reciproca, per gioire delle ricchezze altrui nel modo di lodare Dio, per sanare i passi di allontanamento del passato e per sveltire a cuor di popolo la riunificazione delle Chiese cristiane al fine di giungere alla sospirata e necessaria unità visibile dei credenti in Cristo, Figlio di Dio, Signore e Salvatore, che ha chiesto al Padre: “Che siano uno”. Nel cuore e nella mente del Vescovo Donato, del clero e dei fedeli italo-albanesi dell’Eparchia di Lungro, queste parole forti si sono congiunte a quanto è inciso chiaro e tondo nello stemma dell’Eparchia: “ΙΝΑ ΩΣΙΝ ΕΝ” – “QË TË JENË NJË” – “UT UNUM SINT”, che costituisce la missione specifica della piccola Chiesa Italo-Albanese inviata, con le sue povere forze, per rendere presente il passato e profetizzare la volontà di Dio, e che pare essere l’obiettivo perseguito con tutte le forze da Papa Francesco: unità, a qualsiasi costo!Il popolo arbëresh e la sua Chiesa ricordano con grande commozione e stupore altre parole simili rivolte loro il 25 aprile 1968 dal Beato Papa Paolo VI, in occasione del V centenario della morte di Skanderbeg, il quale rivolgendosi loro ebbe a dire: “Carissimi figli d’Albania … voi potete considerare questa Sede Apostolica … come vostra casa paterna … e se la storia vi ha visti oppressi e dispersi, la bontà di Dio ha fatto che voi, con tutti i membri del vostro “gjak i shprishur”, vi rendeste ovunque tramite di alleanze e collaborazioni, che spesso vi hanno reso anticipatori del moderno ecumenismo”.
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