La Presbyterorum Ordinis: un ministero sotto l'azione dello Spirito
Monsignor Nolè, nell'omelia per la Messa crismale, ha fatto ampio riferimento al decreto conciliare sul ministero e la vita consacrata. "I Presbiteri del Nuovo Testamento, in forza della propria chiamata e della propria ordinazione, sono in certo modo segregati in seno al Popolo di Dio: ma non per rimanere separati da questo stesso Popolo o da qualsiasi uomo, bensì per consacrarsi interamente all'opera per la quale li ha assunti il Signore" - ha detto monsignor Nolè. Recuperiamo il contributo sul documento del sacerdote cosentino don Luigi Bova, tratto dal quaderno di Parola di Vita "Un viaggio nel Concilio. A cinquant'anni dall'apertura del Vaticano II".
Presbyterorum Ordinis è il decreto sul ministero e la vita sacerdotale; fu promulgato dal papa Paolo VI il 7 dicembre 1965. Il titolo Presbyterorum Ordinis significa dal latino: ordine dei presbiteri. Tra i nove decreti emanati dal Concilio Vaticano II «Presbyterorum Ordinis» costituisce una serena e fruttuosa riflessione sull’identità e la vita del sacerdote.
I Padri conciliari premettono al documento un proemio volto a ricordare il fondamento stesso dell’ordine sacro: il Signore Gesù pur avendo partecipato a tutti i suoi fedeli il sacerdozio santo e regale, sceglie alcuni affinché collaborino con Lui alla crescita del popolo di Dio verso l’eternità beata. Attraverso il Vescovo è Cristo stesso a donare la grazia per il servizio dell’unità della Chiesa. Il documento evolve nel chiarimento di quelli che sono le prerogative, gli impegni e i prodromi necessari al corretto esercizio del ministero. Presbitero si diventa con la sacra ordinazione, che conferisce l’autorità con la quale Cristo fa crescere, santifica e governa la Chiesa. L’azione del presbitero si configura nell’annuncio del Vangelo e nella celebrazione dei sacramenti, in modo particolare dell’Eucaristia. Così l’offerta del Sacrificio si rivela d’insegnamento sia ai fedeli, che uniscono la propria vita al mistero di Cristo, che ai presbiteri, conformati a Cristo Capo, dal quale costantemente imparare e dinanzi al quale scoprirsi sempre discepoli.
L’Eucaristia come rendimento di grazie si delinea centro propulsivo di un’autenticità che matura nella preghiera personale, in quella della liturgia delle ore, dell’orazione mentale ed in ogni momento di adorazione davanti al tabernacolo. La meditazione e contemplazione della Parola di Dio, unitamente alla celebrazione dell’Eucaristia e degli altri sacramenti, comportano una progressiva assimilazione del sacerdote alla carità di Colui che si dona per la vita del mondo. La multiformità dei mezzi attraverso i quali il sacerdote è chiamato ad esercitare il suo ministero a completo servizio di Dio e dei fratelli – predicazione, catechesi, annuncio ai non credenti, ricerca teologica – deve sempre essere compresa in un’ottica soteriologica. Il Concilio ricorda con la lettera agli Ebrei (Eb 5,1) che i presbiteri sono presi tra gli uomini ed è richiesto loro annunciare il Vangelo per essere fedeli al mandato missionario del Signore.
La Parola annunciata richiede nella sua diffusione, applicazione aderente alle situazioni concrete della storia – individuale e sociale – ed essere generata da una preparazione adeguata ai contesti ed alle richieste del mondo contemporaneo. In tal senso lo studio, tanto di discipline scientifico sperimentali quanto di quelle umanistiche e più precipuamente teologiche, è proposto per l’apprendimento e l’utilizzo di strumenti nuovi, proporzionati ai tempi per l’evangelizzazione e l’esercizio del ministero. In quanto uomo di rapporti interpersonali autentici il presbitero è chiamato a relazioni intessute della più autentica umanità illuminata dalla grazia. Il rapporto del sacerdote nei confronti del suo Vescovo, al quale risulta legato in virtù della sacra ordinazione, e che provvederà a prendersi cura del bene spirituale del sacerdote, si costituisce come filiale, nella carità e nell’ubbidienza.
La relazione Vescovo-presbitero rimanda al fatto che si è inseriti in una diocesi e si è accolti in un presbiterio, da edificare col fondamento della carità e della fraternità. Nei confronti di tutto il popolo di Dio il presbitero è chiamato a dare testimonianza chiara e limpida di vita cristiana, motivato da carità e rispetto. Infine grande considerazione è da porgere alla perfezione cui il presbitero può e deve tendere: la santità alla quale è chiamato si esplicita nell’esercizio fedele del suo ministero e nella docile accoglienza dello Spirito che guida e compie secondo i disegni di Dio. Lo stile di una tale vita donata non può che essere imitazione dello stile di Cristo che in completa dedizione al Padre, in ubbidienza e povertà, dona se stesso. Prima di affrontare il tema della povertà il Concilio si premura di riproporre per la Chiesa latina il celibato, garanzia di servizio disinteressato a Dio ed ai fratelli. Anche se si possono riconoscere lodevoli esempi di uomini sposati, dai quali si scelgono i collaboratori dell’ordine episcopale nelle Chiese orientali, si ritiene indispensabile il celibato per un cuore indiviso che possa essere tutto per Dio e per il suo gregge.
Dotati di libertà interiore i presbiteri si premureranno di avere come unico fine quello di fidanzare i cristiani con l’unico Sposo, Cristo. Libero da uno squilibrato rapporto con le creature il presbitero impara da Dio la libertà per riconoscere la bellezza e l’utilità dei beni creati ricordando che la vita autentica è nei cieli, dove cessano le preoccupazioni della terra. Come tutti i cristiani, i presbiteri sono chiamati a dire con la vita il loro essere nel mondo e non del mondo. Accanto alle difficoltà che il presbitero può incontrare il Concilio ricorda le gioie e le grandi consolazioni che il Signore non fa mancare ai suoi servi. I sacerdoti, infatti, non devono mai perdere di vista che loro sostegno è l’onnipotenza di Dio e che contribuiscono alla crescita del Corpo di Cristo perseverando nella fedeltà e nell’amore alla missione loro affidata.
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