La svolta nazionalista di Trump
Le prime decisioni del nuovo inquilino della Casa Bianca lasciano intravvedere una chiusura isolazionista e protezionista, rapporti tesi con il resto del mondo e, in sostanza, la negazione delle origini di una nazione fatta di immigrati. Ma le vicende del Novecento europeo dovrebbero insegnare qualcosa anche a "The Donald".
Gli Stati Uniti si sono dati come nuovo presidente Donald Trump, il quale, durante tutta la sua campagna elettorale, aveva annunciato che, una volta eletto, sarebbe stato il presidente dell’America first. Come al solito, gli osservatori ripetevano senza sosta che il suo programma era così assurdo e pericoloso che, anche se fosse stato eletto, non avrebbe potuto darvi concreta realizzazione.
Tale ragionamento era sbagliato. In realtà questo tipo di pensiero è sempre sbagliato. Si diceva lo stesso in Germania a proposito di Hitler e del suo Mein Kampf negli anni Trenta. Si diceva lo stesso in Italia a proposito di Mussolini all’inizio degli anni Venti. Purtroppo le lezioni della storia non servono… Il liberale Francesco Saverio Nitti affermava che sarebbe stato sufficiente lasciar salire al potere il Duce perché egli abbandonasse il suo programma fascista rivoluzionario.
Oggi il signor Trump è presidente degli Stati Uniti. Non ha aspettato quindici giorni per passare concretamente da un programma a una politica reale.Trump sta facendo entrare gli Stati Uniti, questo grande Paese democratico, costituito da immigrati e aperto sul mondo, in una fase inedita della sua storia: nel nazionalismo.
Il presidente lo “veste” con un copertura economica, il protezionismo, con la necessità di proteggere i lavoratori americani e le industrie, le produzioni americane. In realtà si tratta solo di nazionalismo, cioè di odio delle alterità, di egoismo: costruire un muro per isolare il Messico, rinunciare alla libertà commerciale, indebolire le organizzazioni internazionali, incoraggiare le forze ostili all’unità europea, vietare l’accesso al Paese ai cittadini di vari Stati su una base razzista e di discriminazione religiosa… Non si tratta di proteggere il proprio Paese; si tratta appunto di rinchiuderlo in una logica di paura di ogni alterità. Non si tratta di protezione; si tratta di un’affermazione di superiorità nei confronti del mondo.
Un tempo, in Germania, cantavano con forza Deutschland über alles, cioè “La Germania inanzitutto”. Certo, un popolo, una nazione può sempre pensarsi come il migliore, come il centro del mondo. Però la storia dell’umanità insegna che finisce sempre male. Come assicurare la pace senza giustizia internazionale, senza solidarietà tra i popoli? Come assicurare la pace fondata sul rispetto mutuo tra i popoli, se al posto del leggittimo amor patrio, regna un nazionalismo odioso ed egoistico? Come favorire lo sviluppo economico senza una certa libertà di movimento per le persone e per le merci? In realtà il nazionalismo è sempre aggressivo e impedisce le relazioni serene tra gli uni e gli altri, tra i popoli, tra le nazioni.
Una “rivoluzione nazionalistica” è cominciata in America. Per la prima volta gli Stati Uniti hanno scelto di ignorare le loro grandi responsabilità mondiali, i loro doveri morali ed economici di grande potenza politica, militare ed economica. Potenza che le assegna la responsabilità di capire un mondo in bilico e di agire sempre per la pace. Oggi gli States di Trump stanno facendo la scelta del “ciascuno per sé”, dell’egoismo, del dominio del forte sul debole.
Dobbiamo meditare la definizione del nazionalismo data da Papa Pio XI nel Natale 1930, in un contesto che non è senza legame storico con quello odierno: “Odio ed invidia in luogo del mutuo desiderio di bene, diffidenza e sospetto in luogo di fraterna fiducia, concorrenza e lotta in luogo di concorde cooperazione, ambizione di egemonia e di predominio in luogo del rispetto e della tutela di tutti i diritti, siano pur quelli dei deboli e dei piccoli”.
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