Quel sacerdote inginocchiato accanto al mendicante
A qualche centinaio di metri dalla redazione da cui scriviamo, c'è una fermata della Metro di Roma. Da qualche settimana, appoggiato con la schiena alla parete sporchissima e con le gambe stese sul selciato, c'è un uomo in là con gli anni. Dal colore scuro e olivastro della pelle potrebbero essere un rom, di sicuro un uomo dell'Est Europa. Inginocchiato accanto a lui c'è un giovane vestito tutto di nero che gli parla. Dobbiamo essere grati a Francesco, ma anche a quel giovane sacerdote di cui non sapremo mai il nome.
C’è sempre una prima volta per ciascuno di noi. E inevitabilmente ti resta scolpita nella mente e nel cuore. Sul momento, ti sorprendi. Magari ti giri a guardare mentre prosegui sui tuoi passi, ma distogli lo sguardo per pudore. Quasi che il tuo scrutare possa contaminare la realtà che è sotto i tuoi occhi. Poi ti ritorna alla mente e allora le domande sgorgano spontanee. Prima su tutte: perché non riesci a cancellare il ricordo? Dov’è il gancio con il tuo mondo di dentro che ti costringe a ripensare a quell’immagine? A chiederti se valga persino la pena di provare a scriverne, perché non resti solo tua…
Proviamo a raccontare, ben consapevoli che le nostre parole non riusciranno a fotografare quanto abbiamo visto, ma speriamo che almeno riescano a evocare una suggestione. A qualche centinaio di metri dalla redazione da cui scriviamo, c’è una fermata della Metro di Roma. Da qualche settimana, appoggiato con la schiena alla parete sporchissima e con le gambe stese sul selciato, c’è un uomo in là con gli anni. Dal colore scuro e olivastro della pelle potrebbe essere un rom, di sicuro un uomo dell’Est Europa. Ma non possiamo giurarlo. I suoi vestiti sono laceri e ha i piedi foderati con delle buste di plastica. Il cappello scuro di paglia gli conferisce una certa dignità. Non tende la mano, ha un piccolo cartello bianco con la scritta “Ho bisogno di aiuto per curarmi”. Ha una profonda piaga sulla gamba destra che giorno per giorno abbiamo visto aprirsi, emettere un liquido e poi richiudersi. Per diversi giorni gli siamo passati accanto, avvertendo anche un certo fastidio. Quella ferita non curata ci metteva in imbarazzo, ci faceva paura. E automaticamente distoglievamo lo sguardo. Ma ecco la sorpresa: accanto al solito mendicante oggi c’è un giovane uomo vestito tutto di nero. E’ inginocchiato accanto a lui e non si cura dei pantaloni che possono sporcarsi sul selciato lurido. Può avere fra i 20 e i 30 anni. Ha i capelli castani e un bel sorriso. Forse è un giovane sacerdote straniero, di origine ispanica. Ce ne sono tanti in questa zona di Roma a ridosso del Vaticano. Qui ci sono molti collegi dove studiano i giovani sacerdoti provenienti da tutto il mondo. Il sacerdote gli parla nella sua lingua ispanica e l’altro gli risponde nella sua lingua slava. Non riusciamo a spiegarci come facciano a intendersi. Certo è che il mendicante a un certo punto fa un gesto che non lascia dubbi: volge le sue mani al cielo. Un gesto universale dei credenti che si affidano alla volontà di Dio. “E’ Lui che decide per noi, sia fatta la sua volontà”. Tutto si consuma nello spazio di un fotogramma. Quanto basta per ricordare Francesco quando si piega a lavare e baciare i piedi degli ultimi e dei diseredati e quando ci invita a guardare negli occhi i poveri e a toccarli. Dobbiamo essere grati a Francesco, ma anche a quel giovane sacerdote di cui non sapremo mai il nome. Almeno lui ha preso molto sul serio l’invito del Papa e non si è fatto troppe domande. Ché a pensar troppo, si fa tacere il cuore.
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