Rifondare l’Europa? Il protagonismo dei giovani per un laboratorio di nuovo umanesimo
Francesco auspica un rilancio del processo di integrazione che passi attraverso sentieri di rigenerazione storica, culturale e identitaria. Ma la memoria non chiede "l’automatismo delle fotocopie", bensì la creatività di pagine inedite e coraggiose come risposta alle paure e ai nazionalismi che attraversano il Vecchio continente.
“Penso a un’Europa senza nazionalismi egoistici”, “la cui unità si fonda sulla vera libertà”. “Penso a un’Europa unita grazie all’impegno dei giovani”. L’Europa “che ho in mente è un’unità politica, anzi spirituale, nella quale i politici cristiani di tutti i Paesi agiscono nella coscienza delle ricchezze umane che la fede porta con sé”. Con questi pensieri il 23 marzo 2004, nove mesi dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica “Ecclesia in Europa” (28 giugno 2003), Giovanni Paolo II accoglieva il Premio Carlo Magno. Rivolgendosi al sindaco Linden di Aquisgrana così li riassumeva: “Questo è il sogno che porto nel cuore e che vorrei affidare in questa occasione a lei e alle generazioni future”.
A distanza di 12 anni è Papa Francesco il nuovo destinatario del prestigioso Premio europeo. Di ritorno dal recente viaggio apostolico in Messico ha voluto spiegare il motivo della sua risposta positiva nell’accettare il riconoscimento: “Lo offro per l’Europa: che sia una con-decorazione, un premio perché l’Europa possa fare quello che ho auspicato a Strasburgo: perché possa essere non la ‘nonna-Europa’ ma la ‘mamma-Europa’”. Poi, riferendosi a un’espressione che aveva gradito, “la rifondazione dell’Unione europea”, Bergoglio, parlando sempre a braccio, ha aggiunto: “Ma oggi, dove c’è uno Schuman, un Adenauer? Questi grandi, che nel dopoguerra hanno fondato l’Unione europea. E mi piace questa idea della ri-fondazione: magari si potesse fare! Perché l’Europa, non direi che è unica, ma ha una forza, una cultura, una storia che non si può sprecare, e dobbiamo fare di tutto perché l’Unione europea abbia la forza e anche l’ispirazione di farci andare avanti”.
L’interrogativo sui “padri” da parte di Papa Francesco non è venuto sull’onda della nostalgia, ma sull’onda della preoccupazione per il progressivo dissolversi di un pensiero politico europeo. L’Europa, dopo la notte della barbarie nazista e fascista, sta attraversando un’altra oscurità. I “padri” non ci sono più. I figli, pur con qualche doverosa eccezione, non hanno compreso il valore di un’eredità culturale e spirituale. I nipoti, presi nel vortice della globalizzazione, si sono trovati spaesati e privati di una memoria e di una pedagogia europee. Manca ancora una storia europea che vada oltre la somma delle storie dei singoli Paesi e diventi la storia del processo di edificazione della “casa comune”.Dopo i primi anni della vicenda comunitaria il percorso si è interrotto ed ecco che la “rifondazione” auspicata da Papa Francesco rilancia la scommessa europea. Ma sarà possibile accettarla senza una consapevolezza del compito e del destino dell’Europa nell’epoca della globalizzazione, dello spaesamento, delle paure? Sarà possibile accettare la scommessa senza la consapevolezza che la memoria non chiede l’automatismo delle fotocopie ma la creatività di pagine nuove?
Le domande vanno non solo ma soprattutto ai giovani. E questi giovani ci sono, basta pensare agli Erasmus, a molte loro esperienze interculturali in Europa e nel mondo. Sono le nuove generazioni a fare dell’Europa un laboratorio di innovazione, di convivenza, di messa in relazione delle diversità culturali, nazionali, etniche e religiose. Un laboratorio di nuovo umanesimo. Giovanni Paolo II ieri e Papa Francesco oggi non hanno dubbi: i protagonisti di una rifondazione europea devono essere soprattutto i giovani.
Non si può però indugiare e gli adulti non possono sottrarsi ancora alle loro responsabilità educative in un tempo in cui l’Unione europea soffre di crisi respiratoria e i nazionalismi tentano di proporsi come medicina efficace.
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