I settanta anni del Pontificio Comitato di Scienze Storiche
L’istituto punta alla ricerca attraverso un approccio pluridisciplinare con altri settori culturali
Sono trascorsi settant’anni dalla nascita del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, voluto da Papa Pio XII. Era il 7 aprile del 1954 quando quest’istituto vide la luce, aggiungendosi agli altri organismi operanti nella Santa Sede. La sua missione consiste nel tenere memoria delle vicende del Papato, seguendo un rigoroso metodo di ricerca storico-bibliografica e scientifica. L’ente è la diretta prosecuzione della Commissione cardinalizia per gli studi storici fondata da Leone XIII nel 1883, per dare impulso alla ricerca storica secondo lo spirito cattolico. Nel 1955 ha aderito al “Comitato Internazionale di Scienze Storiche”, un’associazione internazionale di studi storici sorta a Ginevra nel 1926, per volontà di Eugenio Pacelli. Diverse le collaborazioni con altri enti cattolici, laici, nazionali e internazionali, tra cui il Cihec (Organizzazione internazionale per gli studi sul cristianesimo), l’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa e l’Unesco. Inizialmente l’organismo era composto da un ristretto numeri di collaboratori, per lo più ecclesiastici al servizio del Vaticano o docenti della accademie pontificie. Oggi vi sono quasi 30 dipendenti, la maggior parte dei quali sono laici, provenienti da diverse parti del mondo e aventi incarichi presso atenei statali. Dagli anni cinquanta del novecento il Comitato ha esteso i suoi orizzonti storiografici e umani lanciando diverse pubblicazioni scientifiche, tra cui la Collana “Atti e Documenti” edita presso la Libreria Editrice Vaticana. L’attuale direttore è padre Merek Inglot, un gesuita polacco che è stato anche decano della Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa presso l’Università Gregoriana di Roma, specializzato in particolare sulla vicenda riguardante la soppressione della Compagnia di Gesù (1773-1814). Tanti i nomi importanti che hanno dato lustro con il loro operato al Comitato, tra cui i gesuiti Miguel Batllori, Giacomo Martina, Pierre Blet e Hubert Jedin. Gli esperti di quest’istituzione riservano un’attenzione particolare al patrimonio archivistico ecclesiastico e, specialmente, agli archivi vaticani, oltre ad occuparsi della revisione dei dati storici dell’Annuario Pontificio, della composizione del Martirologio e delle attività di ufficio, comprese le usuali consulenze e collaborazioni con gli altri organismi della Curia romana. Lo scorso 20 aprile Papa Francesco, in occasione del settantesimo compleanno dell’ente, ha ricevuto in udienza il direttore e gli officiali del Pontificio Comitato, ringraziandoli per lo sforzo che compiono giornalmente per la custodia della memoria vaticana. Il pontefice li ha esortati affinché contribuiscano ad una “diplomazia della cultura”, che scongiuri il pericolo dell’inciviltà dell’incontro, dovuta ai particolarismi e alle ideologie individualistiche. Questo perché la Chiesa cammina nella storia, sta accanto ai fedeli, non si stringe nelle maglie di nessuna cultura, appartiene a tutti, e intende vivificare con la parola di Dio il cuore di ogni civiltà. La sfida futura sarà quella di creare una sinergia tra i vari settori degli studi storici, garantendo il dialogo tra i vari orientamenti storiografici, e adottando il più possibile una prospettica pluridisciplinare e diacronica, che sia al servizio della verità e non delle ideologie che uccidono. “L’eredità dei nostri predecessori è una grande ricchezza e si rivela un continuo sprone a proseguire con lo stesso loro entusiasmo e almeno pari dedizione” ha riferito Inglot. Muoversi tra carte, documenti e archivi vuol dire –come sosteneva anche Paolo VI – “avere il culto di Cristo, avere il senso della Chiesa, dare a noi stessi, dare a chi verrà la storia del passaggio di questa fase di transitus Domini nel mondo”.
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