La devozione spirituale rimette il fedele sul giusto cammino, facendogli riscoprire sentimenti nuovi
La letteratura come strumento per pregare e prepararsi al Giubileo
Zaccuri sottolinea nel suo testo l’importanza delle suppliche a Dio come simbolo di vita e lotta contro il male
Recuperare la pratica della preghiera come momento in cui l’anima si pone dinnanzi a Dio e desidera ascoltarlo e adorarlo è il compito a cui noi cristiani siamo stati chiamati da Papa Francesco, per prepararci a vivere bene il prossimo anno giubilare all’insegna della speranza. Uno strumento che può aiutarci in quest’impresa è la letteratura, quell’universo di parole che parla alla nostra vita. Alessandro Zaccuri, giornalista di Avvenire, saggista e critico letterario, ha recentemente dato alle stampe il testo “Preghiera e letteratura” (Edizioni San Poalo), nel quale lancia un messaggio ben preciso ai suoi lettori: “leggere non è pregare, ma rappresenta certamente uno stimolo alla preghiera. Partendo dall’epoca romana fino a quella contemporanea, l’autore presenta esempi tratti dalle opere di grandi letterati, per i quali le suppliche a Dio rappresentavano elementi fondamentali per dare consistenza alle storie da loro raccontate. Il poeta pagano Lucrezio, seguace dell’epicureismo, nel “De Rerum Natura” invoca la dea Venere da cui discende Enea, progenitore della stirpe romana. Omaggiare la dea, che è simbolo di piacere vitale in opposizione ai moti distruttivi di Marte, vuol dire per lui esaltare tutto il popolo latino. La preghiera ha il pregio di essere uno strumento per la vita e un’arma contro qualsiasi forma di male. Per Sant’Agostino la preghiera è “un grido che si leva al Signore, è un dono di Dio per cui l’uomo deve chiederlo come un mendicante, è un esercizio di umiltà, partendo dalla coscienza di sé di fronte al Padre Eterno, è “opera dello Spirito Santo” che grida in noi. Nella Commedia dantesca la preghiera è il sentiero luminoso che l’anima può e deve percorrere per purificarsi dal peccato, innalzandosi a Dio. Escluso l’inferno, il Purgatorio e il Paradiso sono pervasi dalle suppliche dei morti che, invocando il Signore, cercano di rendersi degni dinnanzi a lui. Le parole delle preghiere danno forza per continuare il viaggio di purificazione, ma correggono anche le inclinazioni avute nella vita terrena. Ad esempio i superbi recitano il Padre Nostro, perché se in vita si compiacevano solo di loro stessi, ora riconoscono la grandezza del Padre e a lui rivolgono le loro lodi. I penitenti sono consapevoli, secondo Dante, che la pace viene solo dall’alto ed è dono divino. E come non ricordare la famosa invocazione alla Vergine nel XXXIII canto del Paradiso, quando San Bernardo di Chiaravalle rivolge una preghiera alla Madonna (“termine fisso d’etterno consiglio”) affinché interceda per il sommo poeta, aiutandolo a liberarsi del velo della fisicità, a penetrare i misteri dell’universo e a fissare lo sguardo nella mente divina. La preghiera assume, ancora una volta, il valore di elevazione dal punto più basso del mondo (l’inferno) a quello più alto (la grazia di Dio). Nel “Decameron” Boccaccio riporta casi di un uso spietato della preghiera, che non sono certamente esempi cristiani da seguire, ma a partire dai quali dovremmo riflettere. Descrive infatti le vili azioni di un losco personaggio, ser Ciappelletto, in apertura alla prima giornata. In punto di morte quest’ultimo fa credere ad un povero frate di aver condotto una vita esemplare, quanto invece la sua è stata un’esistenza fraudolenta basata su vizi e inganni. La preghiera viene intesa da ser Ciappelletto come una merce di scambio, di cui si serve per ricevere onori e lodi dopo la morte, anche a costo di mentire dinnanzi ad un religioso. Le azioni di questo personaggio si macchiano ulteriormente di empietà, là dove chiede in confessione al frate il sacramento, pur sapendo in cuor suo di essere indegno ingannando l’intera istituzione della Chiesa. L’inglese Shakespeare aveva spiccate tendenze cattoliche e una certa idea di misericordia, che ritroviamo in opere come “Il Mercante di Venezia”. L’eroina Porzia si rivolge all’usuraio ebreo Shylock dicendo che “la misericordia deve sgorgare direttamente dal cuore”, deve “cadere come pioggia gentile dal cielo sulla terra”. È un chiaro rimando al libro del Siracide dove si parla di misericordia. Shakespeare fa dire a Porzia che la preghiera ci serve per ottenere la misericordia di Dio e ci insegna ad essere clementi. Cervantes ripropone, nel suo Don Chisciotte della Mancha, il problema della validità di un sacramento amministrato da un sacerdote indegno, facendo capire una cosa fondamentale: l’importanza di affidarsi alle preghiere di un vero servo di Dio. Nel III capitolo del suo celebre romanzo, lo scrittore spagnolo narra dell’investitura per burla di Don Chisciotte per mano di un furbo oste che, proferendo finte preghiere, gli fa credere di essere ufficialmente un cavaliere, pronto per intraprendere tante avventure. L’ingenioso hidalgo pensa che recitare orazioni sia un’avventura minore, ma il vero cristiano sa che pregare è un’avventura seria per lottare contro il nemico e per ricevere consolazione da Dio. L’amore per la preghiera del Padre Nostro attira lo scrittore Eugenio Montale, il poeta del dubbio ma in realtà un fervido credente. Come ha attestato la nipote dell’intellettuale, Bianca Montale, a suo zio è “mancata la folgorazione della fede” senza la quale è difficile razionalmente comprendere tante cose della Chiesa. Secondo lei Eugenio era “un cristiano senza dogmi”. Specie verso gli ultimi anni di vita, il padre di “Ossi di Seppia” voleva conoscere l’Altro, quel Dio che lui non nominava mai invano. Portava con sé sempre un santino, un’adorazione dei Magi e sotto la scritta “la bontà di Dio si è manifestata in Cristo”. Prima di morire chiese al cappellano della clinica San Pio X, dove si trovava ricoverato, di recitare insieme il Padre Nostro in latino, come segno di quella ricerca di Dio che da sempre l’aveva accompagnato. Questo perché aveva una sete di conoscenza dei temi religiosi e rispettava i preti veri. Zaccuri cita, tra gli altri, l’esempio dell’americano Cormac McCargt, vincitore del Premio Pulitzer nel 2007 per il romanzo “La strada”. Lo scrittore punteggia la sua narrativa di continui rimandi al divino, anche quando parla di dolore, di male e di cattiveria nelle periferie delle città degli Stati Uniti, nelle quali morale e immorale si confondono. Riconosce che Dio sa quello che fa e che, prima o poi, entra nella nostra vita attraverso la preghiera. La devozione vera fa camminare sulla retta via, facendo pregustare doni spirituali e sentimenti nuovi.
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