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Padre Didon. Una vita per lo sport e per la vita

Il religioso incarnava sacralità, agonismo e sana competizione

Padre Didon. Una vita per lo sport e per la vita

Agonismo, rispetto, competizione leale, consapevolezza che, per un sogno che si avvera, esiste un compagno da consolare perché ha perso la medaglia a cui ambiva: da sempre le Olimpiadi sono il meglio che lo sport possa offrire, non soltanto come spettacolo atletico e tattico, ma anche come qualità umane, come carità, come amore verso il prossimo. Tutti valori che si sposano alla perfezione con gli insegnamenti cristiani.
Non stupisca, quindi, che, tra coloro che hanno aiutato il celeberrimo barone de Coubertain a riportare in auge i Giochi olimpici, come manifestazione di sport, di cultura e di umanità, ci fu anche un frate domenicano, Henri Martin Didon, uomo eclettico, uomo ugualmente appassionato di letteratura e di scienza, uomo che, contrariamente al pregiudizio, tutt’ora erroneamente radicato, che la Chiesa non sappia essere moderna, guardava già al futuro e al potere di una manifestazione così sportivamente totalizzante per educare le persone, al tempo stesso intrattenendole. 

“Citius, altius, fortius” (più velocemente, più in alto, con più forza). Lezione di sport e di vita, spesso attribuita a de Coubertain, ma che invece si deve attribuire proprio a Padre Didon, che aveva usato questo motto per spronare la propria associazione sportiva fondata nel collegio San Alberto Magno di Arcueil, di cui era priore, preside e soprattutto anima dal 1890. Velocità, ambizione, forza d’animo: tre parole-chiave ripetute ancora una volta durante la prima messa ufficiale che aprì le Olimpiadi di Atene 1896, le prime nella storia moderna. Parole-chiave alla quale, nel 2021 il CIO decise di aggiungere al motto olimpico “Communiter”, che vuol dire insieme. Un messaggio ulteriormente rafforzato, al quale, forse, provare a perdonare l’errore di semantica che tanto ha inorridito i latinisti più tradizionali.

A meno di un mese dall’inizio delle Olimpiadi di Parigi, nella Parigi del Barone de Coubertain, probabilmente il Barone stesso avrebbe amato dividere i riflettori con l’amico Padre Didon, perché, in fondo, lo spirito più autentico incarnato dai Giochi olimpici è proprio questo: incarnare sacralità e agonismo, competizione e amicizia, diversità e punti di incontro, per creare un misto di sport, storia e soprattutto amore che ha sempre contribuito a incastonare nel mito i cinque cerchi. Ovviamente, nel segno – indelebile – della nostra Italia.

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