Il nuovo identikit del Catechista in Italia
La nostra intervista alla professoressa Teresa Doni docente dell’Università Pontificia Salesiana
Attraverso un questionario di 50 domande l’Istituto di Catechetica della Facoltà di Scienze dell’educazione della Pontificia Università Salesiana ha portato a termine un’indagine “Catechisti oggi in Italia”, presentata lo scorso 3 giugno a Roma, dalla quale emerge l’identikit del catechista. Dai dati emersi l’educatrice che accompagna nell’educazione alla fede i bambini e i ragazzi delle comunità parrocchiali è: donna, colta, tra i 40 e i 60 anni, che con grande dedizione e spirito di solidarietà e generosità garantiscono la preparazione ai sacramenti.
Dei dati della ricerca, tra conferme e nuove tendenze, ne abbiamo parlato con la professoressa Teresa Doni, docente di ricerca empirica in Pastorale Giovanile e Catechetica presso la Facoltà di Scienze della comunicazione sociale e la Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana e presso la Facoltà di Scienze sociali della Pontificia Università san Tommaso (Angelicum) di Roma.
Professoressa quali sono i risultati più rilevanti emersi dall’indagine promossa dall’Istituto di Catechetica della Pontificia Università Salesiana sulla figura e sulla missione del Catechista?
Possiamo sintetizzare le questioni più rilevanti emerse dall’indagine nei seguenti punti: pur in assenza di dati censuari certi, si è in presenza di un movimento catechistico numericamente consistente.
Il Documento Base è poco conosciuto dai catechisti più giovani, ma le sue principali prospettive risultano acquisite nella mentalità corrente.
L’immagine di Chiesa che emerge è quella comunionale e partecipativa, secondo le indicazioni conciliari.
Per quanto riguarda l’identità, i catechisti si riconoscono principalmente come “testimoni”. Viene infatti affermato a più riprese che senza la testimonianza di vita la catechesi non è “autentica”. Il risvolto della medaglia è rappresentato dal fatto che traspare una prospettiva secondo la quale la testimonianza sarebbe sufficiente da sola per l’educazione alla fede a prescindere dalle competenze “professionali”. Questo pone interrogativi per il dispositivo formativo, soprattutto ora che è richiesto dal recente motu proprio pontificio. Comunque, gli intervistati desiderano una formazione più attenta alla loro crescita spirituale.
La catechesi non è vista come trasmissione nozionistica dei fondamenti cristiani e come percorso finalizzato alla sola ricezione dei sacramenti, quanto piuttosto come una realtà dinamica, nella logica della formazione permanente alla vita cristiana, tuttavia l’impegno formativo si concentra in parte preponderante nell’accompagnamento degli itinerari di preparazione ai sacramenti.
Gli intervistati indicano tre ambiti su cui concentrare gli sforzi per rendere la catechesi significativa nell’attuale società della comunicazione: il profondo rinnovamento del linguaggio, la cura della preparazione dei catechisti, l’aggiornamento dei contenuti che trasmette.
Per quanto riguarda il coinvolgimento della famiglia, da un lato lo si considera il luogo privilegiato di catechesi, superiore anche a quella parrocchiale; dall’altro è considerata il principale ostacolo alla catechesi con i ragazzi.
Preoccupa la scarsa attenzione rivolta alla dimensione sociale della catechesi e alla conoscenza e utilizzo dei mezzi di comunicazione sociale.
Qual è l’identikit del Catechista oggi nella Chiesa italiana?
Al questionario hanno dato una risposta completa 1740 catechiste/i (75,7% F; 15,9% M; 8,4% n.r.) di un’età che varia tra i 15 e gli 84 anni (media 50 anni – la fascia più consistente tra i 41-60 anni).
È sempre più accentuata la tendenza all’innalzamento dell’età, cosa che rispecchia in qualche modo l’invecchiamento della popolazione che frequenta le nostre parrocchie. Sotto i 40 anni si trova il 33,5% del campione maschile e il 16% di quello femminile.
Quasi la metà del campione (47,3%) dichiara di essere catechista da più di 12 anni e il 19,3% svolge questo servizio da 7 a 12 anni. Le new entry non sono costituite solo da giovani reclute, ma riguardano persone più adulte in età. L’attività catechistica principale rimane quella della preparazione ai sacramenti (41,2% con fanciulli della scuola primaria; 24,1% con preadolescenti della scuola media; 7,4% con adolescenti; 4,7% con nubendi).
Il livello culturale è elevato (il 79,9% del campione è diplomato o laureato) mentre è veramente basso in proporzione il numero di persone che possiedono un titolo di studio ecclesiale “professionalizzante”. La percentuale di coloro che hanno una preparazione teologica e di cultura religiosa adeguata al compito è veramente minima (313 soggetti, di cui 84 presbiteri, diaconi o religiosi/e); i più giovani, in particolare, sono quelli che non hanno frequentato nessun corso ecclesiale specifico.
Secondo le zone territoriali, il 42,4% del campione risiede nelle regioni del Nord Italia (Piemonte. Liguria. Lombardia, Triveneto); il 21,5 al Centro (Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Lazio); il 14,3 al Sud (Campania, Abruzzo-Molise, Puglia, Calabria) e il 13,6% nelle Isole (Sicilia, Sardegna e isole minori).
Qual è il motivo che vi ha spinto a realizzare questa ricerca?
La ricorrenza del 50° anniversario del Documento Base per la catechesi (DB, 1970), in coincidenza con il piano decennale degli Orientamenti pastorali, Educare alla vita buona del Vangelo (2010-2020), ha costituito un’opportunità unica per lanciare il progetto di indagine triennale (2017-2020) sulla figura dei catechisti italiani nelle comunità parrocchiali. L’interesse per le indagini empiriche nello studio della formazione dei catechisti scaturisce dalla necessità di passare da affermazioni generiche, sviluppate senza un quadro teorico di riferimento verso un nuovo e più aggiornato assetto scientifico. L’Istituto di Catechetica (ICa) dell’Università Pontificia Salesiana (UPS) ha ideato il disegno di ricerca e lo ha messo in atto, partendo dal suo ricco curriculum professionale; infatti, temi come la metodologia catechistica dello sviluppo umano, la formazione dei catechisti, l’impatto dei documenti della CEI sulle buone pratiche pastorali, e altro ancora, erano stati ampiamente trattati negli studi precedenti. Tra questi e altri temi, in modo particolare, oggetto preferenziale è stata la questione educativa della catechesi in rapporto alla vita e alla missione dei catechisti italiani che operano nelle comunità parrocchiali, tenendo conto del cambiamento del contesto antropologico.
La Catechesi oggi in Italia vive un momento di crisi?
Alla domanda che chiedeva ai catechisti se, in base alla loro esperienza, la catechesi attuale stesse attraversando o meno un periodo di crisi, il 36,5% risponde affermativamente, il 55,4% che «incontra alcune difficoltà» e lo 0,6% che «non presenta alcun problema». I motivi per cui si ritiene che la catechesi stia attraversando un momento di crisi o stia incontrando delle difficoltà, per la maggior parte del campione risiedono in fattori in qualche modo esterni alla catechesi stessa e imputabili alla scarsa comprensione della sua autentica natura. Per il 74,6% infatti, la crisi della catechesi dipende dal considerarla «come semplice preparazione ai sacramenti» e per il 70,2% «dal fatto che le famiglie e i ragazzi considerino la catechesi come un obbligo e non come una scelta» (70,2%).
Sulla stessa linea sono coloro che ritengono che le difficoltà della catechesi dipendano «da un generale disinteresse nei confronti della religione» (56%); «dalla generale crisi educativa del periodo attuale» (52,8%) e «dall’incapacità degli adulti, in particolare dei genitori, di assumersi le proprie responsabilità» (49,5%).
Molto più bassa è invece la percentuale di chi attribuisce le cause dell’attuale difficoltà della catechesi a fattori organizzativi e in qualche modo legati alla formazione di chi fa catechesi (per il 21,8% dipende dalla «carente preparazione pedagogico-didattica dei catechisti» e per il 18,9% dalla loro «scarsa preparazione teologica»; il 10% ascrivono la crisi all’«inesistenza di percorsi personalizzati di fede»; il 9% alla «mancanza di una corretta programmazione catechistica»; il 6,7% alla «scarsa formazione catechetica dei Parroci» e, infine, il 5,1% alla «marginalità della catechesi rispetto alle altre attività della parrocchia»).
È interessante notare come questa domanda abbia registrato anche un’alta percentuale di «altre risposte» (il 4,9%), segno che, nel pensiero dei catechisti, la crisi attuale della catechesi dipenda da molteplici cause, che si possono riassumere soprattutto nella scarsa coerenza di vita dei catechisti, nel fragile senso di appartenenza alla comunità, nella generale disaffezione nei confronti della vita cristiana e di fede.
Quali sono stati gli effetti della pandemia sulla Catechesi?
Questo è un po’ presto per dirlo, si potrà vedere nei prossimi anni. Ciò che si può prevedere è forse un aumento di considerazione delle potenzialità dei mezzi di comunicazione sociale (che nel momento dell’inchiesta risultava piuttosto scarsa) anche per le attività catechistiche, e probabilmente un ripensamento globale delle modalità di coinvolgimento dei giovani e delle famiglie nell’azione pastorale delle comunità parrocchiali.
Quali sono le motivazioni che spingono una persona ad esercitare il ministero di Catechista? Ci sono delle differenze tra Nord, Centro e Sud?
La decisione di impegnarsi come catechista può nascere da motivazioni diverse, più o meno legate a esperienze personali o a convinzioni religiose o teologiche.
Tra le diverse motivazioni che potrebbero essere all’origine della scelta di diventare catechista, la «missione evangelizzatrice di ogni cristiano» è l’opzione maggiormente condivisa dal campione, raggiungendo l’84% delle scelte e questo dimostra come la consapevolezza che la scelta di diventare catechista si innesti nella coscienza che l’annuncio cristiano è compito di ogni battezzato, sia diventata patrimonio comune. Al secondo posto è segnalata la «pluralità di esperienze di fede» con il 72,2% di preferenze e poi, a seguire, il «desiderio di insegnare la fede» (67,8%); «una richiesta del parroco» (60,8%); «una vocazione ecclesiale particolare» (60,9%). Le ultime due motivazioni che gli intervistati ritengono all’origine della decisione di diventare catechisti sono la «necessità di lavorare in gruppo» (33.8% delle preferenze) e il «bisogno di autorealizzarsi» (14,2%).
Richiesti di condividere quale motivazione, tra quelle precedenti, avesse maggiormente orientato la loro scelta personale di diventare catechista, il campione si distribuisce in maniera quasi uniforme tra le diverse opzioni. Non emergono grandi differenze tra le diverse aree territoriali.
Numerosi intervistati a una delle domande del questionario “Come sarebbe una comunità cristiana senza Catechesi?” hanno risposto “Come un cielo senza stelle…”. Una risposta che sottolinea l’importanza della missione del Catechista nella Chiesa italiana?
Indubbiamente questa risposta, espressa dal 40,9% del campione, rivela l’importanza che i catechisti attribuiscono al loro servizio nella comunità parrocchiale. Da tener presente che, a questa stessa domanda il 64,1% risponde che “non avremmo l’educazione dei credenti e la loro formazione continua”, quindi il valore della propria missione dipende esplicitamente dalla considerazione di cui gode il ruolo educativo e formativo della Chiesa.
Puntare ad una Catechesi più dinamica, mettendo da parte le nozioni e lo scopo di ricevere soltanto i sacramenti, sarebbe di aiuto nel coinvolgere di più i giovani e le famiglie nell’attività catechistica con una partecipazione più attiva?
Senza dubbio l’urgenza avvertita dai catechisti di intensificare gli sforzi perché la catechesi sia inserita nei percorsi di vita ordinari e si indirizzi in forma privilegiata ai giovani e agli adulti; sappia avvalersi della collaborazione delle varie agenzie educative, soprattutto della famiglia, indica il desiderio di rendere tutti i cristiani protagonisti della loro crescita spirituale, e farebbe della comunità cristiana una realtà attiva e significativa nel territorio, in sinergia con le altre forze civili a servizio dell’uomo. Questo porterebbe anche a un maggiore interesse da parte dei giovani, che troverebbero nella parrocchia un vero centro di aggregazione e di impegno dove crescere in maniera integrale.
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